Universalitas & Pervasivitas – Il potere temporale e l’attività politico-diplomatica - di A. Pisani

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Più ancora, forse, che l’ingerenza dei gesuiti nella politica dei singoli stati, quello che preoccupava molti era la loro filosofia generale dei rapporti tra chiesa e stato. Anche a questo livello la situazione è più articolata di quanto non possa apparire a una prima analisi, anche a questo livello, cioè, l’unità dell’Ordine è più apparente e superficiale di quanto in realtàsia: basti solo pensare che il Canone XII stabilito dalla Quinta Congregazione Generale esplicitamente escludeva un’ingerenza dei gesuiti dalle cose dello statoe, dall’altro lato, si pensi a tutti i singoli casi (Portogallo, Francia, Venezia per citare solo i più famosi) in cui è dimostrato un  rilevante ruolo dei gesuiti nel piegare alle loro preferenze e necessità le decisioni dei governanti. Il nucleo del problema stava nella teoria machiavellica  secondo la quale per il principe era impossibile avere successo politico, e cioè governare saldamente lo stato e renderlo potente, senza discostarsi dalla morale cristiana. Verso la fine del sedicesimo secolo le opere di Giovanni Botero e di Giusto Lipsio (il primo gesuita fino al 1580 e il secondo ex-allievo dei gesuiti) diedero vita a una sorta di “partito” anti-machiavellico che ebbe importanti esponenti anche all’interno dell’Ordine. Tra questi, gli spagnoli Pedro de Ribadeneira e Juan de Mariana, il fiammingo Carlo Scribani e il tedesco Adam Contzen, ispirati dagli insegnamenti degli Esercizi spirituali che esplicitamente manifestano la possibilità di essere buoni cristiani e di vivere nel secolo (e dunque di occuparsi anche di politica), elaborarono teorie sull’arte di governare di evidente impronta gesuitica che suscitarono non poche discussioni e non pochi espliciti attacchi all’Ordine. Una di queste, in particolare, il De rege et regis institutione di Juan de Mariana fu addirittura diffusa limitatamente per ordine dei suoi superiori a causa della, controversa, approvazione del tirannicidio da parte dell’autore. Saranno opere come quella di Mariana che, nel giro di poco tempo, faranno sorgere le accuse non solo di ingerenza nelle cose dello stato da parte dei gesuiti ma addirittura di essere monarcomachi.

Un’altra teoria elaborata in ambiente gesuitico sarà però quella che farà muovere nei loro confronti le accuse più fondate. E’ quella del potere indiretto del papato, elaborata dallo spagnolo Francisco Suarez e da Roberto Bellarmino (che nel 1930 sarà canonizzato e nel 1931 nominato Dottore della Chiesa). Mentre Ribadeneira, Mariana, Contzen e Scribani sviluppano dei programmi per la costruzione di uno stato (ricerca del sostegno popolare, sviluppo dell’economia e di un sistema d’imposte, creazione di un esercito e diffusione della religione), Suarez e Bellarmino accettano le sovranità nazionali esistenti sulle quali, però, il papato dovrebbe esercitare una sorta di supervisione arrivando, in casi eccezionali,  a qualche forma di intervento. Bellarmino, in particolare, “si limita a combattere le due tesi estreme, quella teocratica della suprema sovranità del pontefice su tutto il mondo e quella contraria che negava ogni tipo di potere al papa sul mondo politico, per sostenere la via media di un potere di intervento eccezionale e indiretto in funzione del bene spirituale e in virtù della sostanziale unità del genere umano di fronte al problema della salvezza” .

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