Autori
Titolo completo
Ioannis Marianae Hispani, e Soc. Iesu,  De rege et regis institutione libri 3
Paese
Spagna
Lingua
Latino
Descrizione fisica

[8], 446, [10] p. ; 4°

Segn.: §4 A-2E8 2F4
Stemma xil. di Filippo III sul front
Iniziali e fregi xil.

Note

Il De rege et regis institutione… consta di tre libri : il primo tratta dell’origine, della natura e dei limiti della potestà regia; il secondo e il terzo dell’educazione del principe e del governo dello Stato. Ma le teorie politiche, che tanto odio accumularono sul capo del Mariana, sono contenute tutte nel primo libro… In lui la tendenza naturalistica, che noi abbiamo riscontrato nel Suarez e nel Bellarmino, ha un’impronta più viva ed efficace: egli sviluppa con una predilezione evidente… l’idea della sovranità del popolo; solleva tutte le questioni che possono farsi su questo soggetto e le risolve senza esitazione a favore del popolo e a detrimento del potere regio… L’autorità della Chiesa continua ad avere un grande valore ed una superiorità sul potere laico, ma essa ha ricevuto una certa limitazione dal concetto quasi umanistico che il Mariana sembra avere della religione… In Mariana non c’è sicuramente il concetto machiavellico della religione, ma qualche elemento notevole, che riconduce il nostro pensiero al grande statista italiano, il quale voleva che la religione mirasse alla utilità dello Stato. E questo elemento… abbiamo creduto di trovarlo nello studio che il Nostro pone a far rilevare quanto giovi a conciliare al principe gli animi della moltitudine il sentimento della religione… Così per opera d’un gesuita, che sviluppava quei germi corroditori della Scolastica… il tomismo mandava gli ultimi aneliti, lasciando una grande eredità alla filosofia moderna, che lottava per la sua autonomia. La prima questione, che tratta il Mariana nel primo capitolo della sua opera, è l’origine storica della società e del principato. In principio, dice egli, gli uomini vivevano a guisa di fiere, non legati ad alcun diritto, ma dominati dalla libidine, finché mossi dall’istinto e dall’impulso, crearono la famiglia; e quindi ne nacque l’autorità paterna; dopo, aumentando il numero della prole, s’intese il bisogno di riunire le famiglie in borghi. Il Mariana rappresenta qui come altrove un progresso considerevole sulla dottrina di Bellarmino, il quale rifuggiva dall’ammettere lo status naturalis, che Cicerone e gli altri pagani avevano affermato. Al dotto cardinale gesuita sembrava ragionevolmente una concezione tutta pagana il dire che gli uomini avessero vagato a guisa di bestie. E aggiungeva che doveva recar meraviglia il fatto che i cristiani, i quali appresero che il mondo fu creato e che i primi uomini ebbero città, osino dire che gli uomini per lunghissimo tempo siano vissuti senza capi, senza città, come fiere. Ma il Mariana, cattolico e gesuita, non ha simili scrupoli; anzi mai forse prima di lui fu fatta con maggiore coscienza ed efficacia una apologia così magnifica dello stato di natura…
Lo stesso [di quello che affermerà poi Rousseau nel Discours] aveva affermato il Mariana: la società, la civiltà e le leggi tutte umane hanno una comune origine, la debolezza degli uomini. Alla società venne poi aggiunta la maestà regia quasi multitudinis custos, che si conferiva a chi si distingueva per onestà e prudenza, senza alcun apparato terrificante, senza privilegi di sorta e leggi particolari… Dopo, i re dominati dalla libidine del possesso o dalla ambizione di gloria cercarono di sottomettere le genti libere e governare soli sui beni di tutti come Nino, Ciro, Alessandro, Cesare, che fondarono grandi imperi, ma questi non furono re legittimi… perché furono veri predoni… Da queste parole comincia già ad apparire il concetto, che ha il Mariana del potere regio: l’assolutismo e l’usurpazione rendono illegittimo il governo d’un re. E qui si presenta una questione: qual è la migliore forma di Governo? Il Mariana confessa che molto si è discusso su questo tema: alcuni vorrebbero che il potere risiedesse in parecchi; altri in uno solo. Ma il Mariana, da buon tomista, parteggia per i secondi: in lui è ancora viva la tradizione medievale, che seguiva la concezione del monarchismo, per potersene distaccare, ma il punto di vista è molto diverso. La monarchia non ha più, secondo il concetto tomistico, una autorità assoluta, a cui ogni cristiano doveva un’obbedienza illimitata…
L’ideale dello Stato deve essere etico e però ad esso incombe la tutela della religione; ma per conseguire ciò, dice il Cervantes… occorrono parecchie doti nel governante; la moralità, la religiosità ed altre virtù, che hanno certamente una efficacia maggiore delle splendide ritualidades, che si credevano conferire al governo la plasticidad esplenderosa. Le stesse idee esprimerà il Mariana nella sua celebre opera, ma egli riuscirà inferiore al Cervantes, che con la piqueta del ridicolo seppe più che con qualsiasi dissertazione giuridica demolire quella monarchia, cui in fondo credeva. Ma il Mariana, anch’egli nativo di Spagna, vissuto in tempi quando più l’arbitrio del re e il sistema inquisitoriale erano creduti i soli mezzi idonei all’esecuzione della giustizia, non poteva suscitare la suscettibilità di Filippo II; e quindi usa uno di quei sapienti ripieghi che hanno fatto dei gesuiti gli uomini più abili e  più circospetti. Filippo II… niente aveva da temere dalla dottrina dei gesuiti, i quali anzi avevano dato alla sua politica una giustificazione giuridico-religiosa. Il Re… tiene più al vantaggio momentaneo che al valore assoluto della dottrina dei gesuiti. Ma la ragione della remissività alle teorie politiche dei gesuiti del re Filippo II… deve appunto ricercarsi nello spirito del secolo, che nelle più importanti manifestazioni spirituali tendeva a mettere in ridicolo ciò che formava la sublime utopia del M.E., la monarchia universale, assoluta dell’imperatore, che in Dante ebbe la più efficace espressione… I papi, che avevano aspirato al dominio universale sia nell’ordine spirituale sia nell’ordine temporale, intesero il bisogno di mutar via per non perdere quell’autorità immensa, che si erano acquistata colle armi spirituali. Essi videro che la posizione era cambiata: gli imperatori, i re, i principi, che pendevano dai loro cenni o potevano essere ridotti facilmente all’obbedienza, si emancipavano con ribellioni palesi come nei paesi dove ingigantiva la Riforma, o con proteste forti e virili, fatte dai Parlamenti e da alcune università cattoliche. E mentre prima il potere regio riposava sulla consacrazione del Papato e da questo attingeva tutto il suo prestigio e la sua forza, dopo il Rinascimento e la Riforma, esso acquista coscienza di sé, vuol divenire autonomo cercando di togliere alla Chiesa quella prerogativa, per cui questa sola affermava l’origine immediata da Dio. Allora il Papato cominciò a guardare con cura e con zelo gli interessi del popolo per farsene scudo e bandiera contro l’autorità minacciosa dei re, o sollevare questi, secondo che richiedevano le condizioni speciali delle varie nazioni, a detrimento di quello. Questa duplice tendenza, in sé contraddittoria, perché l’una rappresentava il pensiero moderno, l’altra il pensiero chiesastico, è rappresentata in grado eminente dal Mariana… Il principe, dice il Mariana, se pone in pericolo lo Stato, se disprezza la religione della patria, deve essere sostituito da un altro. Il popolo è tutto: egli solo può fare leggi, conferire il potere regio, designare i successori, anzi la eredità della monarchia diventa una usurpazione ove venga fatta dai re. Dunque, la ragione intima che spinse il Mariana a deprimere così fortemente l’autorità politica, deve ricercarsi nella sua fede religiosa…  Or chi conosce quanto larga sia l’interpretazione, che si dà al concetto del disprezzo della religione, potrà comprendere come il Mariana intendeva immobilizzare la potestà laica rendendola schiava della autorità ecclesiastica, che dal medio evo in poi poneva allo stesso livello tanto gli interessi spirituali quanto quelli temporali. Il Mariana confessa la separazione tra l’ordine spirituale e l’ordine temporale e dice chiaramente che Cristo col fondare la sua nuova Chiesa delegò a Pietro e ai Romani Pontefici questo solo potere, la cura della religione e delle cose sacre. Ma la separazione e distinzione non erano così reali da involgere una contraddizione, se quei due dominii risiedono nel Papa o nei vescovi. La Chiesa non può avere un potere illimitato nell’ordine temporale, ma ciò non vieta che essa possa anche avere un governo temporale, possedere ricchezze, ecc. Ciechi sono veramente quegli uomini, i quali non si accorgono che senza la potenza temporale l’elemento ecclesiastico sarebbe oggetto di disprezzo da parte del popolo e di grande vergogna all’onore della religione. E’ da provare, continua l’astuto gesuita, se, tolti via i beni temporali, succeda la virtù, come vanno dicendo coloro che giustamente vorrebbero ricondurre il clero alla primitiva purezza. Anzi, se si vuole andare proprio a fondo, è da dirsi che maggiore è la licenza dei costumi, dove il clero è stretto dalla miseria. E il Mariana non aveva poi tutti i torti nel considerare i beni temporali come una ragione di esistenza della Chiesa, quale era al sec. XVI, cioè come società esterna. Se essa ha una missione spirituale deve evidentemente, così ragionavano e ragionano i gesuiti di tutti i secoli, essere visibile, e quindi avere tutti i mezzi materiali che rendano efficaci e valevoli gli ordini suoi. Ed è perciò che il Mariana insiste nel far rilevare, ma in maniera molto generica, i gravi danni che deriverebbero dal disconoscimento dei diritti ecclesiastici. I principi debbono conservare intatte le immunità e i diritti del clero… Solo il Papa o i suoi rappresentanti possono violare questi diritti sacrosanti, e la ragione si capisce, perché il divino non è una cosa che appartenga intimamente agli uomini, ma è una prerogativa a cui ha diritto unicamente la Chiesa… E’ il pensiero dominante del Bellarmino, che il Mariana svolge con maggiore serenità e minor partigianeria, ma sempre dal medesimo punto di vista che traluce qua e là, talvolta inavvertito, talvolta chiaro e luminoso, e consiste nella supremazia assoluta del potere ecclesiastico.
Cfr.: Giuseppe Saitta La Scolastica nel secolo XVI e la politica dei gesuiti  Torino, Fratelli Bocca Editori, 1911,  p. 269-289 e passim.

Esponente, insieme a Contzen, Ribadeneira e Scribani, della corrente gesuitica del “partito” antimachiavellico, vide limitata la diffusione del  libro a opera del suo stesso Ordine a causa della sua apparente approvazione del tirannicidio . Accanto alle tesi sostenute dai suoi confratelli per forgiare un potere politico efficiente e cristiano, Mariana entra anche in particolari di natura economica, dando precisi suggerimenti al fine di stimolare l’economia e incrementare le entrate dello Stato.

“L’opera riflette la modernità di Mariana, abbonda di riflessioni politiche volte a suggerire un sentimento democratico al principe e un’idea anticentralista della Spagna poggiante sul concetto di Stato come unione consensuale tra più individui che trasferiscono il potere ad uno, su un concetto di socialtà dell’uomo e di volontarietà dello Stato. Essa interessò a lungo la cultura europea poiché prevedeva e teorizzava … la possibilità, in presenza di un tiranno, di ucciderlo. Nonostante l’accusa di aver giustificato e fomentato il tirannicidio, l’opera di Mariana era un testo profondamente monarchico, in cui l’autore sosteneva il forte parallelismo tra il solo Dio nel cielo e il solo capo sulla terra. Ciò veniva però temperato dal potere esercitato dall’aristocrazia, dall’idea che la comunità manteneva comunque il suo diritto di autoregolamentarsi e di revocare ogni mandato con cui aveva investito il suo capo.”  
Cfr.: Michela Catto L’Ordine diviso. Il dissenso nell’ordine gesuitico tra ‘500 e ‘600 Brescia, Morcelliana, 2009, p. 160.
 

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Tipo pubblicazione
Monografia
Pubblicazione
Toleti: [editore] apud Petrum Rodericum typo. regium, 1599
Collocazione
RARI N.VI.21
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