ll Fondo Autografi della biblioteca, soprattutto per la parte proveniente dalle carte dalla serie di Emanuele Celesia, contiene lettere dei protagonisti dei primi moti genovesi

  • La raccolta degli autografi della Biblioteca Universitaria di Genova, nasce dalla fusione negli anni Trenta-Sessanta del Novecento, del carteggio del bibliofilo genovese Giambattista Passano, e della corrispondenza di Emanuele Celesia, che fu direttore della Biblioteca dal 1865 al 1889, oltre che dalla corrispondenza di vari direttori presumibilmente estrapolata dall’Archivio della Biblioteca stessa.

    Numerosi gli elementi specifici legati al contesto storico risorgimentale.

    Tra i corrispondenti del Passano, si riscontra materiale attinente sia alla memorialistica garibaldina sia di carattere pubblico, tra cui alcune delle lettere di Girolamo D’Adda (204 lettere di cui alcune riferite in particolare agli anni 1866 e 1877).

    Il carteggio di Emanuele Celesia, che fu, come è noto, tra i più attivi patrioti genovesi, è costituito da lettere e documenti dal 1848 al 1875 ed è caratterizzato in gran parte dalla corrispondenza che egli ebbe con esponenti democratici genovesi e liguri relativamente ad alcuni aspetti della politica risorgimentale, tra cui Giorgio Asproni (11 lettere tra il 1849 e il 1859), Giuseppe Avezzana (3 lettere), Agostino Bertani, (6 lettere scritte a Emanuele Celesia tra il 1849 e il 1878), Angelo Brofferio (15 lettere tra il 1845-1852), Luigi Mercantini, Antonio Ghislanzoni, il conte Giovanni Grilenzoni, Ippolito D’Aste.

    ll Fondo Autografi della biblioteca, soprattutto per la parte proveniente dalle carte dalla serie di Emanuele Celesia, contiene lettere dei protagonisti dei primi moti genovesi:

    • Federico Alizeri (15)
    • Michele Giuseppe Canale (93)
    • Emanuele Celesia (10)

    E 19 lettere di diversi a E. Celesia

    • Goffredo Mameli (5 In Copia)
    • Terenzio Mamiani (20)
    • Daniele Morchio (22)
    • David Morchio (2)
    • Didaco Pellegrini (4)
    • Costantino Reta (8)

    Nel medesimo fondo sono inoltre conservate missive dei più noti personaggi del periodo risorgimentale:

    • Camillo Benso Conte di Cavour (4)
    • Carlo Alberto di Savoia (2)
    • Carlo Cattaneo (1)
    • Vincenzo Gioberti (6)
    • Silvio Pellico (3)
    • Guglielmo Pepe (2)

    In fine nel medesimo fondo numerose sono le lettere di Giuseppe Mazzini.

    Tra gli autografi dei protagonisti dell’epopea garibaldina e nello specifico tra i Mille che nel 1860 salparono da Quarto, si segnalano, oltre alle lettere di Giuseppe Garibaldi, presenti peraltro anche nel Fondo Bixio, le lettere autografe di Menotti Garibaldi, Stefano Canzio, Antonio Mosto (6 lettere autografe indirizzate a Gerolamo Remorino aa. 1857 -1858) e di Stefano Türr, tutte comunque pertinenti agli anni 1861-1879.

    Altro nucleo di interesse risorgimentale é costituito dalla corrispondenza, in parte edita, di Gerolamo Remorino, che diresse giornali democratici e repubblicani, in particolare "L’Italia del Popolo".

    Occorre inoltre menzionare il Carteggio del matematico Placido Tardy (Messina 1816 - Firenze 1914), donato nel 1925 dal Prof. Gino Loria al quale rimane legata la segnatura del carteggio, caratterizzato dalla corrispondenza [784 unità] di prestigiosi matematici italiani e stranieri col Tardy, professore universitario e attivista politico risorgimentale.La digitalizzazione del carteggio è oggi visibile sul portale Internet Culturale.

  • Biografie

    Federico Alizeri (Genova 1817-1882)

    Intellettuale, insegnante  e giornalista cattolico, diresse "L'Espero, giornale di letterature, belle arti, teatro, varietà" e scrisse su "Il Pensiero Italiano", diretto da Filippo Bettini e Niccolò Accame nel 1848-49.

    Esaltò in versi e prosa l'elezione di Pio IX e partecipò ai moti del 1848-49 nelle fila dei liberali moderati.

    Fu incaricato dal Comune di Genova, subito dopo i cruenti fatti, di stendere un Commentario delle cose accadute in Genova in marzo e in aprile 1849.

    Autore di varie opere storico-letterarie, le più famose delle quali sono la Guida artistica per la città di Genova, Genova 1846, la Guida illustrativa del cittadino e forestiero per la città di Genova e sue adiacenze (Genova, Sambolino,1875) e le Notizie dei professori di disegno in Liguria (Genova, Sambolino, 1864-1880).

    Michele Giuseppe Canale (1808-1890)

    Mazziniano convinto, affiliato alla Carboneria, si dedicò al giornalismo e agli studi storici. Fu fra i più attivi organizzatori delle manifestazioni politiche democratiche del triennio 1847-'49.

    Molti anni dopo fu nominato Bibliotecario Capo della Biblioteca Civica Berio.

    Goffredo Mameli (Genova 1827 - Roma 1849)

    Figura tra le più famose del Risorgimento italiano, morì a seguito di una ferita infetta che si procurò durante la difesa della seconda Repubblica Romana. È l?autore delle parole dell?attuale inno nazionale italiano.
    I genitori erano Giorgio (Giorgio Giovanni), della famiglia aristocratica sarda dei "Mameli" o "Mameli dei Mannelli" e Adelaide (Adele) Zoagli, della famiglia aristocratica genovese degli Zoagli. Giorgio Mameli, il padre, aveva comandato a Genova una squadra della flotta del Regno di Sardegna le cui capitali erano Cagliari e Torino.
    Goffredo, istruito nelle Scuole Pie di Genova, docente nel collegio di Carcare in provincia di Savona, fu autore, all'età di 20 anni, delle parole del Canto degl'Italiani (1847), più noto come Inno di Mameli, adottato poi come inno nazionale della Repubblica Italiana, musicato da Michele Novaro.
    Mameli venne presto conquistato dallo spirito patriottico e, durante i pochi anni della sua giovinezza, riuscì a far parte attiva in alcune memorabili gesta che ancor oggi vengono ricordate, come ad esempio l'esposizione del tricolore per festeggiare la cacciata degli Austriaci nel 1846.Nel marzo 1848 organizzò una spedizione per andare in aiuto a Nino Bixio durante l'insurrezione di Milano e, in virtù di questa impresa coronata da successo, venne arruolato nell'esercito di Giuseppe Garibaldi con il grado di capitano. In questo periodo compose un secondo canto patriottico, intitolato l'Inno militare musicato da Giuseppe Verdi.

    Tornato a Genova riuscì a dedicarsi alla composizione musicale diventando contemporaneamente direttore del giornale "Diario del Popolo" e senza dimenticare di pubblicizzare le sue idee irredentiste nei confronti dell'Austria.

    La sua opera di patriota venne anche svolta: a Roma, nell'aiuto a Pellegrino Rossi e per la proclamazione del 9 febbraio 1849 della Repubblica romana di Mazzini, Armellini e Saffi; e in una campagna, svolta a Firenze, per la fondazione di uno stato unitario tra Lazio e Toscana.

    Nel suo continuo vagabondaggio si trovò nuovamente a Genova, sempre al fianco di Nino Bixio nel movimento irredentista fronteggiato dal generale Alberto La Marmora, quindi nuovamente a Roma nella lotta contro le truppe francesi venute in soccorso di Papa Pio IX (che nel frattempo aveva lasciato la città).La sua morte avvenne in seguito a delle circostanze accidentali: nella difesa della Villa del Vascello durante la breve Repubblica romana del 1849 fu ferito in maniera non particolarmente grave da un commilitone, con la baionetta, ad una gamba. Morì per la sopravvenuta infezione il 6 luglio 1849 a soli 21 anni, all'ospizio della Trinità dei Pellegrini.

    Fu sepolto al Verano, dove è ancor oggi visibile il suo monumento. Tuttavia le sue spoglie vennero traslate nel 1941 al Gianicolo, dove il fascismo belligerante aveva spostato e ricostruito il "Monumento ai caduti per la causa di Roma Italiana" eretto inizialmente (nel 1879) lì presso, nel piazzale di San Pietro in Montorio.

    Terenzio Mamiani (Pescara 1799 - 1885)  

    Filosofo e politico, protagonista del Risorgimento italiano.

    Cugino di Giacomo Leopardi, entrò in contatto a Firenze nel 1827 con i circoli degli intellettuali vicini al Gabinetto Vieusseux . Pescarese di nascita, fu tra i più attivi organizzatori dei moti rivoluzionari del 1831. All'Assemblea nazionale di Bologna fu eletto Ministro dell'interno delle province unite.

    Dopo il fallito sollevamento, fuggì via mare, ma, imprigionato a Venezia, fu esiliato in Francia dove rimase fino al 1847. A Parigi venne in contatto con gli esponenti liberali italiani in esilio, tenendo un fitto carteggio anche con Mazzini, dal quale però prese le distanze reputando più logico, "abbandonare le temerarie cospirazioni e le utopie". Per interessamento di Carlo Alberto, ottenne il permesso di soggiorno a Genova. Il che spiega la sua partecipazione, se non di persona sicuramente con scritti e libelli, ai moti del 1848-49. Qui, tra l'altro, nel 1847 con Domenico Buffa fondò a Genova il giornale "La Lega Italiana", sostituito tre mesi dopo da "Il Pensiero Italiano". Successivamente, gli fu concesso di rientrare nello Stato Pontificio.

    A Roma ebbe incarichi di prestigio. Eletto nell'Assemblea Costituente nel 1849, si pronunciò contro la proclamazione della Repubblica. Dimessosi, si ritirò a vita privata, fino a lasciare Roma per riparare ancora in Piemonte, dove nel 1857 ottenne la cattedra di filosofia della storia nell'Università di Torino. In stretto contatto con Cavour, fu eletto deputato nel Parlamento subalpino e poi nominato Ministro dell'Istruzione. In questa carica gli fu riconosciuto grande equilibrio nelle nomine di professori nelle università del neonato stato unitario.

    Daniele Morchio (1824-1894)

    Fratello dell'acceso democratico, David, si dedicò particolarmente alle lettere, non trascurando le discipline giuridiche nelle quali era laureato.
    Al contrario del fratello, militò fra le schiere dei liberali monarchici fedeli ai Savoia.La lettera proposta è indirizzata a Emanuele Celesia in qualità di direttore della Biblioteca Universitaria di Genova.

    David Morchio (1798-1875)

    Combattente tra i costituzionali spagnoli nel 1821, tornato a Genova, ebbe parte attiva alla vita politica militando tra i più ferventi democratici del Circolo Italiano.

    Partecipò ai moti genovesi del '49 e fu condannato a morte in contumacia.

    Nella lettera che si propone, indirizzata a Emanuele Celesia da Costantinopoli, David Morchio usa parole amare da esule:

    «Per le comuni credenze, e gli sforzi comuni io sto qui nell'afflizione, colla prospettiva dell'imminente più assoluta miseria per me, e per la mia famiglia, essendo finora vissuto della vendita della mia Libreria, e delle masserizie, che mi riuscì salvare dal naufragio; ed ora ormai tutto è quasi consumato».

    Didaco Pellegrini (1809-1870)

    Grande oratore e arringatore di folle, nato a Novi Ligure, militò nelle fila dei democratici più spinti. Fu fra i personaggi più coinvolti nelle manifestazioni e scontri del 1847-'49.

    Molto discusso per la sua irruenza, pure essendone soltanto il segretario, fu di fatto il capo del Circolo Italiano.

    Escluso dall'amnistia e condannato a morte in contumacia, si trasferì definitivamente a Costantinopoli rifiutando di usufruire dell'indulto che nel 1856 fu concesso ai condannati compromessi con gli eventi del 1849.

    Costantino Reta (1814-1858)

    Regio corriere, si dedicò con successo al giornalismo. Collaborò alla Biografia iconografica degli Uomini celebri che fiorirono dal X secolo ai nostri giorni negli Stati del Re di Sardegna, (Torino, 1845); a "L'Eridano", rivista scientifica e letteraria ed a vari altri giornali, fra cui "Il Risorgimento" di Cavour.
    Militò nelle fila della più accesa democrazia nella città di Torino, dove fu segretario del Circolo Nazionale.
    A Genova partecipò alle manifestazioni politiche e ai moti del marzo-aprile del '49 per i quali fu escluso dall'amnistia di Vittorio Emanuele II e condannato a morte in contumacia.

    Nelle lettere che si propongono, entrambe indirizzate a Emanuele Celesia ed entrambe successive ai moti del '49, scrive da esiliato in cerca di una patria sostitutiva. Nella prima, da La Valletta il 31 luglio 1849, scrive tra l'altro: «Non vorrei dolermi di quest'inaudita persecuzione se fossi solo a soffrire. Vedendo però che i miei innocenti bambini stentano, che mia moglie piange e soffre, passo i miei giorni in uno stato indicibile d'angoscia...». Nella seconda missiva, da Ginevra il 21 settembre 1851,  dimostra una grande amarezza per le accoglienze festose tributate da Genova a Vittorio Emanuele II che viene definito «loro bombardatore».

    Camillo Benso Conte di Cavour (Torino 1810-1861)

    Nasce il 10 agosto 1810 a Torino da famiglia nobile. Indirizzato alla carriera militare, a sedici anni esce dall'Accademia militare con il grado di sottotenente del genio.
    Negli anni successivi si dedica all'agricoltura e alle scienze economiche e sociali. Partito per l'Inghilterra, nel 1835 pubblica un "Extrait" dell'inchiesta inglese sulla tassa dei poveri. Tornato in Italia, rivolge i suoi interessi alla pratica di nuovi sistemi di conduzione e coltivazione. Partecipa inoltre a diverse imprese e sodalizi, tra cui l'Associazione Agraria.
    Nel 1847 fonda il giornale "Il Risorgimento", che esaltava l'indipendenza del Paese anche senza il Papa, e la concessione della libertà economica, religiosa e politica.
    Nel giugno del 1848, viene eletto deputato.
    Nel 1850, essendosi messo in evidenza nella difesa delle leggi Siccardi (promosse per diminuire i privilegi riconosciuti al clero, prevedevano l'abolizione del tribunale ecclesiastico, del diritto d'asilo nelle chiese e nei conventi, la riduzione del numero delle festività religiose e il divieto per le corporazioni ecclesiastiche di acquistare beni, ricevere eredità o donazioni senza ricevere il consenso del Governo) Cavour viene chiamato a far parte del gabinetto D'Azeglio come ministro dell'agricoltura, del commercio e della marina. Successivamente viene nominato ministro delle Finanze. Con tale carica assume ben presto una posizione di primo piano, fino a diventare presidente del Consiglio il 4 novembre 1852. Tenta di fare del Piemonte un paese moderno, dando impulso ai commerci, all'istruzione, all'esercito; avvia grandi opere pubbliche e riordina l'amministrazione dello Stato.
    Una delle imprese che dimostrano la sua abilità, è l'organizzazione della spedizione dei Mille, che si conclude con l'annessione dell'Umbria e delle Marche, giungendo poi alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861.Muore il 6 giugno dello stesso anno, logorato dalla fatica. Cavour è considerato uno dei più grandi tra le figure della storia d'Italia, per la sua fede nella libertà, per la visione della realtà politica e per il suo genio diplomatico.

    Carlo Alberto di Savoia (Torino 1798 - Oporto 1849)

    Figlio di Carlo Emanuele di Savoia, principe di Carignano, e di Albertina Maria Cristina di Sassonia, ricevette la prima educazione a Ginevra e compì i suoi studi a Parigi, dove subì l'influsso delle idee politiche francesi.
    Rientrato a Torino, dopo la caduta di Napoleone, e la restituzione del Piemonte alla casa di Savoia, non condivise l'impostazione reazionaria data da Vittorio Emanuele.
    Nonostante la sua posizione anti austriaca, il 30 settembre 1817 a Firenze in Santa Maria del Fiore sposò Maria Teresa d'Asburgo-Toscana figlia di Ferdinando III di Asburgo-Lorena dalla quale ebbe tre figli

    Amico dei giovani esponenti del liberalismo piemontese, era al corrente della cospirazione che sboccò nel moto del marzo 1821. Una volta assunta la reggenza, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I e data la lontananza del nuovo re Carlo Felice, concesse agli insorti la costituzione di Spagna che essi reclamavano (14 marzo), ma subito dopo fu sconfessato da Carlo Felice e costretto ad abbandonare il Piemonte.

    Dopo che Carlo Felice non volle riceverlo a Modena, Carlo Alberto si ritirò per qualche tempo a Firenze, finché l'Austria decise di appoggiare la sua successione al trono di Sardegna, nonostante l'opposizione di Carlo Felice.
    Per non perdere questo diritto Carlo Alberto fu quindi costretto ad impegnarsi con Metternich a non modificare il regime assoluto ristabilito in Piemonte, e si piegò a partecipare alla spedizione francese che voleva reprimere la rivoluzione liberale in Spagna (1823).

    Morto Carlo Felice, Carlo Alberto poté finalmente succedergli (1831) e, nonostante una lettera di incitamento inviatagli da Mazzini, Carlo Alberto iniziò una politica assolutista e reazionaria, la cui espressione maggiore fu la repressione della cospirazione diretta dalla 'Giovine Italia' (1833-1834.
    Fondamentalmente antiaustriaco Carlo Alberto attuò una serie di riforme che resero il Piemonte la regione più evoluta della penisola e gli scritti di Gioberti, Balbo e d'Azeglio rafforzarono la tendenza filopiemontese nata in Italia.
    Nel 1848 Carlo Alberto entrò in guerra contro l'Austria, scossa dalle rivoluzioni di Vienna e di Milano, ma la campagna, dopo un inizio fortunato, prese un andamento sfavorevole, anche per le personali esitazioni del re, e si chiuse con la grave sconfitta di Custoza (25 luglio).

    Ha legato indelebilmente il suo nome alla promulgazione dello Statuto fondamentale della Monarchia di Savoia 4 marzo 1848 - noto, appunto, come Statuto albertino - che rese il Regno di Sardegna, prima, e l'Italia, poi, una Monarchia costituzionale.

    Carlo Alberto, temendo di vedere le idee repubblicane trionfare nel proprio Stato, chiamò dapprima al potere Gioberti (dicembre 1848) e successivamente (12 marzo 1849) ruppe l'armistizio con l'Austria anche per sottrarsi alla rinnovata accusa di tradimento che gli rivolgevano i patrioti. Ma la ripresa della guerra si concluse quasi subito con la disfatta di Novara (23 marzo 1849), che provocò la sua abdicazione a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
    Carlo Alberto si recò allora in esilio in Portogallo, dove morì di dolore alcuni mesi più tardi (28 luglio).

    Carlo Cattaneo (Villastanza 1801 - Castagnola-Lugano 1869)

    Ricordato per le sue idee federaliste improntate su un forte liberalismo e laicismo, all'alba dell'Unificazione italiana, Cattaneo fu fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della Svizzera. Per Cattaneo il progresso non doveva avvenire per forza, ma compatibilmente con i tempi poiché a suo parere sta agli uomini scandire le tappe del progresso. Egli negava l'idea di contratto sociale e pensava che gli uomini si sono associati per istinto: "la società è un fatto naturale, primitivo, necessario, permanente, universale..."; è sempre esistito un "federalismo delle intelligenze umane" che è sorto perché è un elemento necessario delle menti individuali. Ancora oggi Cattaneo viene visto come l'iniziatore della corrente di pensiero federalista in Italia.

    Figlio di Melchiorre, un orefice, e di Maria Antonia Sangiorgio, trascorse gran parte della sua infanzia dividendosi tra la vita milanese e i lunghi e frequenti soggiorni a Casorate, oggi Lugano, ospite di parenti paterni.

    Approfittando della biblioteca del prozio Giacomo Antonio, un sacerdote di Casorate, Cattaneo si appassionò alla lettura dei classici tanto che decise di intraprendere gli studi per avviarsi alla carriera ecclesiastica. Ma a diciassette anni abbandonò il seminario per continuare la sua formazione a Milano ove si diplomò nel 1820.
    Si plasmò alla scuola di maestri quali Giambattista De Cristoforis e Giovanni Gherardini, i quali gli aprirono le porte del mondo intellettuale milanese. Cattaneo iniziò anche a nutrire interessi di carattere scientifico e storico. L'assidua frequentazione della Biblioteca di Brera e della  Biblioteca Ambrosiana, il contatto con il cugino paterno Gaetano Cattaneo direttore del Gabinetto numismatico di Brera, e del prefetto ambrosiano Pietro Cighera, suo lontano parente, furono determinanti nel suo percorso formativo.

    Assunto nel dicembre del 1820 dalla Congregazione Municipale di Milano come insegnante di grammatica latina e poi di scienze umane nel ginnasio comunale di Santa Marta, ove restò per ben quindici anni, entrò a far parte della cerchia di Vincenzo Monti e di sua figlia Costanza. Di questi stessi anni sono le sue amicizie con Stefano Franscini e Giuseppe Montani e la frequentazione alle lezioni di diritto tenute da Gian Domenico Romagnosi.
    Nel 1824 si laureò in Giurisprudenza presso l'Università di Pavia con il massimo dei voti.
    Risale al 1822 la sua prima pubblicazione data alla stampa e apparsa su "Antologia", si tratta di una recensione all'Assunto primo della scienza del diritto naturale di Romagnosi. Tra il 1824 ed il 1826 pubblicò alcune traduzioni dal tedesco di opere divulgative di carattere storico e geografico, frutto di una commissione governativa. In questo periodo collaborò con il suo amico Stefano Franscini alla traduzione de La Storia della Svizzera pel popolo svizzero di Heinrich Zschokke che venne pubblicata solo nel 1829.

    Intanto nel 1825, morto il padre, suo fratello maggiore Filippo, il primogenito, gli succedette nel negozio di oreficeria e nello stesso anno Cattaneo conobbe Anna Woodcock, una giovane anglosassone con la quale iniziò ad allacciare una relazione sempre più profonda.
     
    Nel 1848 Cattaneo ottenne alcune concessioni dal vicegovernatore austriaco a Milano, subito annullate dal generale austriaco Josef Radetzky. Cattaneo e i suoi insorsero, iniziando le cinque giornate di Milano, al termine delle quali,  rifiutò l'intervento piemontese, perché considerava lo Stato sabaudo meno sviluppato della Lombardia e ben distante dall'essere democratico.

    Dopo una serie di moti popolari, il 9 febbraio 1849 venne proclamata la Repubblica Romana, guidata da un triumvirato costituito da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. In seguito ai moti del 1848-49 Cattaneo riparò in Svizzera e tenne dimora a Castagnola. Ebbe dunque modo di stringere maggiormente la sua amicizia con Stefano Franscini, potente politico ticinese, e di partecipare alla vita politica del Cantone e della città. Qui fu uno dei fondatori del Liceo di Lugano che volle fortemente per creare un'istruzione laica libera dal giogo della Chiesa, al fine di formare quella classe borghese liberale e laica che erano alla base dello sviluppo economico del resto della Svizzera.

    Pur essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia unificata, rifiutò sempre di giurare fedeltà ai Savoia.

    Numerose le sue pubblicazioni a partire dalla fondazione nel 1839 de "Il Politecnico. Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale". Tra le opere più note: Psicologia delle menti associate, Notizie naturali e civili su la Lombardia, Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra. Memorie, La politica di Carlo Alberto nella guerra d'indipendenza del 1848,  Della pena di morte nella futura legislazione italiana, Memorie di economia pubblica dal 1833 al 1860, Ugo Foscolo e l'Italia e Sul riordinamento degli studi scientifici in Italia.

    Vincenzo Gioberti (Torino 1801 - Parigi 1852)

    Educato dai padri dell'Oratorio fu ordinato sacerdote nel 1825. Col passare degli anni acquisì sempre più interesse negli affari del suo paese, nelle nuove idee politiche e nella letteratura a lui contemporanea.
    In parte influenzato da Mazzini, la libertà italiana divenne per lui lo scopo principale della vita, e l'emancipazione dalla dominazione straniera e dai concetti reputati sprezzanti della sua autorità europea. Questa autorità era associata nella sua mente alla supremazia papale, anche se in un modo più romanzato che politico. Si deve ricordare tutto questo quando si considerano quasi tutti i suoi scritti e anche quando si critica la sua posizione, sia in relazione al partito clericale al governo - i gesuiti - che la politica di corte piemontese dopo l'incoronazione di Carlo Alberto nel 1831.

    Calo Alberto lo nominò suo cappellano anche se la sua popolarità e l?influenza in campo privato finirono per divenire ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all?esilio. Si ritirò dal suo incarico nel 1833, ma fu improvvisamente arrestato con l?accusa di complotto e, dopo quattro mesi di carcere, fu bandito senza processo. Gioberti andò prima a Parigi e, un anno dopo, a Bruxelles dove vi restò fino al 1845 per insegnare filosofia e assistere un amico nella direzione di una scuola privata. Nonostante ciò trovò il tempo di scrivere diverse opere di importanza filosofica con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.

    Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto nel 1846, Gioberti (che era di nuovo a Parigi) divenne libero di tornare in Italia, o meglio, nel Regno di Sardegna, ma si rifiutò di farlo fino alla fine del 1847.
    Il 29 aprile 1848 ritornò a Torino ove fu ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati della quale fu presto eletto presidente.
     
    Entro la fine dello stesso anno fu formato un nuovo ministero capeggiato da Gioberti, ma con l'incoronazione di Vittorio Emanuele II, nel marzo del 1849, la sua vita attiva giunse alla fine. Un diverbio inconciliabile non tardò a venire a galla e il suo trasferimento da Torino fu completato da un suo incarico in missione a Parigi, da cui non fece più ritorno.

    Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi all'ozio letterario. Morì improvvisamente di un colpo apoplettico il 26 ottobre 1852.

    Gli scritti di Gioberti sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro cui scrisse, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale; anche il sistema di Gioberti, conosciuto come ontologismo, più nello specifico nelle sue più importanti opere iniziali, non è connessa con le moderne scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede cattolica che spinse Victor Cousin a sostenere che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che Gioberti non era un filosofo.

    Gioberti è da un certo punto di vista un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la chiesa è l?asse su cui il benessere della vita umana si fonda. Tale opera sarà la base teorica del neoguelfismo. In essa Gioberti afferma che l?idea della supremazia dell?Italia, apportata dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione.
    Nelle sue ultime opere, Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo campo sull?influenza degli eventi.

    Le sue opere principali: Prolegomini del Primato morale e civile degli italiani, Primato morale e civile degli italiani, Introduzione allo studio della filosofia e Teorica del sovrannaturale.
    Tutti gli scritti giobertiani, tra cui quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Giuseppe Massari (Torino, 1856-1861).

    Silvio Pellico (Saluzzo 1789 - Torino 1854)

    Dopo aver studiato a Pinerolo ed a Torino, andò a Lione per fare pratica nel settore commerciale; rientrato in Italia nel 1809, si stabilì a Milano.Entusiasta della poesia del periodo neoclassico, conobbe Vincenzo Monti e Ugo Foscolo e scrisse due tragedie in versi, Laodamia e Francesca da Rimini e poco dopo Eufemio di Messina.
    Nel 1814 divenne istitutore nella case del conte L. Porro-Lambertenghi.

    Strinse relazioni con personaggi della cultura stranieri come Madame de Stael e Friedrich von Schlegel e italiani come Federico Confalonieri, Cesare Romagnosi e Giovanni Berchet.
    In questi circoli venivano sviluppate idee tendenzialmente liberali e rivolte alle possibilità di indipendenza nazionale: in questo clima nel 1818 venne fondata la rivista "Il Conciliatore".

    Pellico e gran parte degli amici entrarono a far parte della setta segreta di tipo carbonaro dei cosiddetti ''Federati'' che venne scoperta dalla polizia austriaca nel 1820, Pellico, Piero Maroncelli e altri vennero arrestati e dopo una sentenza rinchiusi nella fortezza dello Spielberg a Brno. La dura esperienza carceraria si concluse con il rimpatrio nel 1830 e costituì il soggetto dell'opera autobiografica Le mie prigioni che ebbe grande popolarità ed ebbe grande influenza sul movimento risorgimentale.
    Successivamente Pellico pubblicò altre tragedie: Gismonda da Mendrisio, Leoniero, Erodiade, Tommaso Moro e Corradino.
    Pubblicò anche il libro morale I doveri degli uomini e Cantiche di genere romantico.
    Travagliato da problemi familiari e fisici negli ultimi anni della sua vita interruppe la sua produzione letteraria e visse come segretario nella casa della marchesa di Barolo.
    Scrisse anche un testo di Memorie dopo la scarcerazione andato perduto.

    Guglielmo Pepe (Squillace 1783 - Torino 1855)

    Generale e patriota italiano. Dopo avere frequentato la scuola militare La Nunziatella combatté nel 1799 nelle file della milizia della Repubblica Partenopea. Subendo la sconfitta contro le truppe borboniche del cardinal Ruffo, fu fatto prigioniero e inviato in esilio, combatté con Napoleone a Marengo (1800) nella Legione italiana. Fatto ritorno a Napoli nel 1803, fu nuovamente arrestato per la sua attività antiborbonica; rimesso in libertà all'arrivo dei Francesi (1806), combatté in Calabria contro gli insorti, e poi in Spagna (1811) e nella campagna del 1815.

    Fatto comandante supremo dell'esercito costituzionale, combatté a Rieti (1821) contro gli Austriaci, ma dopo la sconfitta dovette nuovamente andare in esilio, prima in Inghilterra e poi in Francia.
    In questo periodo pubblicò una serie di scritti tra i quali: L'Italia militare (1836), in cui sosteneva l'opportunità di ricorrere alla guerra partigiana per liberare il paese; L'Italia politica e i suoi rapporti con la Francia e l'Inghilterra (1839, anonima e in francese); Memorie intorno alla sua vita ed ai recenti casi d'Italia (1847, pubblicata prima in inglese nel 1846).
    Comandò il corpo spedito da Ferdinando II contro gli austriaci nel 1848, impegnandosi nella difesa di Venezia affidatagli da Daniele Manin nel 1848 e 1849.

    Nuovamente sconfitto ed esiliato emigrò a Parigi. Rientrò poi in Italia passando i suoi ultimi giorni a Torino.

    Domenico Menotti Garibaldi (Mostardas 1840 - Roma 1903)

    Nacque nel borgo di São Luís, oggi quartiere della città brasiliana di Mostardas, stato del Rio Grande do Sul, primogenito di Giuseppe e Anita Garibaldi. Venne battezzato con il nome di Domenico, in onore del padre di Garibaldi, ma il Generale volle soprannominarlo Menotti, in onore del patriota Ciro Menotti.
    Rimase in America Latina fino all'età di sette anni e rientrò in Italia insieme ai due fratelli, Teresita e Ricciotti e alla madre. Il Re gli offrì un posto nel Collegio di Racconigi dove vi ricevette un'eccellente educazione finchè il padre non decise di assumerne direttamente l'educazione, tenendolo con se a Caprera.
    Menotti iniziò la sua carriera militare da semplice soldato nel 1859 a fianco del padre nei cacciatori delle Alpi (nello squadrone Guide dei Cacciatori) a Varese, Como, San Martino, San Fermo. Partecipò poi alla spedizione dei Mille, nella quale si distinse nel grado di maggiore. Combattè con il padre a Calatafimi, dove vnne ferito, a Palermo, a Reggio, sul Volturno poi il trionfo di Napoli. E' il solo figlio di Garibaldi a dividere con lui questa straordinaria esperienza.
    Nel 1866 durante la terza guerra di indipendenza comandò, con il grado di colonnello, il 9° reggimento di volontari garibaldini e fu l'artefice della vittoria nella battaglia di Bezzecca meritandosi la medaglia d'oro al Valor Militare. Nel 1870 durante la guerra franco-prussiana comandò un reggimento di truppe franco-italiane, combattendo a Digione e sui Vosgi, meritandosi la Legion d'Onore conferitagli dal governo francese.

    Divenne deputato di Velletri e Roma dal 1876 al 1897. A Velletri è ancora ricordato per aver dato importanza alla cittadina facendovi spostare o riuscendo a mantenervi sedi di organi statali e per aver fondato la "Cantina sperimentale del vino di Velletri". Inoltre riuscì a far finanziare dal governo una vasta tenuta dell'Agro Romano, idea che anni prima era stata proposta dal padre ma che non aveva trovato seguito, divenendo un apprezzato imprenditore agricolo.

    Si sposò con Italia Bidischini dall'Oglio e ne ebbe sei figli. Morì per aver contratto la malaria, all'età di 63 anni, e fu sepolto nel mausoleo della famiglia Garibaldi, da lui fatto costruire nell'odierna frazione Carano Garibaldi, all'epoca in territorio di Velletri, oggi nel comune di Aprilia. Gli furono tributati solenni funerali di Stato ai quali si associò ufficialmente il governo francese. Fu Gabriele D'Annunzio a pronunciare l'orazione funebre con un bel discorso, il cui testo è affisso all'interno della tomba.

    Stefano Canzio (Genova 1837 - Genova 1909)

    Il padre Michele Canzio, pittore, scenografo del Teatro Carlo Felice, era membro dell'Accademia Ligustica di Belle Arti.

    Nella primavera del 1859, a 22 anni,  Stefano Canzio lasciò gli studi classici ed entrò in un gruppo di volenterosi che si offrivano al governo per la guerra imminente. Con i Carabinieri Genovesi fece parte dei Cacciatori delle Alpi. Tornò dalla guerra soldato formato ed animato da entusiasmo per Garibaldi, del quale andò sempre più conquistandosi la stima e la fiducia, lavorò alla preparazione della spedizione dei Mille e quando fu deliberata la formazione, tornò a far parte del drappello dei carabinieri genovesi e sbarcò con essi a Marsala. Durante la spedizione curò una corrispondenza con il "Movimento", il giornale genovese mazziniano.

    Il 27 maggio nell'entrare in Palermo venne ferito. Si recò dunque a Genova per guarire dalle ferite riportate, ma ben presto tornò in campo, militando fino alla fine della guerra, ottenendo il grado di maggiore. Nel novembre accompagnò il generale a Caprera e di lì a un anno, ne sposò alla Maddalena la figlia Teresita. Da questo momento in poi partecipò a tutte le azioni garibaldine.
    In Trentino, durante la III Guerra d'Indipendenza, Canzio meritò il grado di maggiore e fu braccio destro di Garibaldi nella Battaglia di Bezzecca, dove si fece onore e conquistando la Medaglia d'oro al Valor Militare.
    Partecipò inoltre alla Battaglia di Mentana, dove lo ritroviamo con il grado di colonnello, in questa occasione tra l'altro salvò la vita a Garibaldi.
    Nel 1870 in Francia partecipò alla Battaglia di Digione con il grado di generale (a soli 34 anni), nonché luogotenente di Garibaldi.

    Ritiratosi a vita privata, con una sola parentesi come deputato nel 1891, successivamente venne nominato il 25 giugno 1903 primo presidente del Consorzio Autonomo del Porto di Genova, costituito con la legge del 12 febbraio 1903, con mandato di provvedere con speciali fondi attribuitigli all'esecuzione delle opere necessarie, alla gestione ed al coordinamento dei servizi nel Porto di Genova.

    Sotto la guida di Canzio si consolidò il potere del Consorzio, con nuovi regolamenti riuiscì a disciplinare il lavoro portuale, i lavoratori vennero iscritti nei "Ruoli" consortili, ricondusse il lavoro in una dialettica sindacale.
    La funzionalità del porto prese nuovo slancio con l'ampliamento a ponente, iniziato il 29 ottobre 1905 con la costruzione del bacino Vittorio Emanuele III, con la posa della prima pietra alla presenza dei sovrani.

    Con la costruzione di nuovi magazzini e la collocazione di nuove gru, sotto la presidenza di Stefano Canzio, il porto si arricchì poi di preziose infrastrutture, rendendo possibile l'aumento degli accosti attrezzati di circa mille metri.
    A seguito di un incendio scoppiato su alcune chiatte, Stefano Canzio fu svegliato nel cuore di una notte gelida, accorse in porto in pieno inverno, per collaborare allo spegnimento. Fu in quell'occasione che venne colpito da una polmonite che gli fu fatale.
    Canzio morì il 14 gennaio 1909. Imponente fu il suo funerale che il 17 gennaio coinvolse tutta la città: cariche politiche cittadine, personale del Consorzio, associazioni commerciali, confederazioni ed associazioni operaie, caravana, Camera del Lavoro e Garibaldini.

    Antonio Mosto (Genova 1824 -1890)

    Appartenente ad una facoltosa famiglia di negozianti è figura di rilievo nella storia del Risorgimento. Protagonista delle battaglie che dal 1848 arrivano ai moti del 1857 è noto soprattutto come fondatore e comandante dei Carabinieri Genovesi, corpo di volontari garibaldini che si è particolarmente distinto dal 1859 al 1871.

    István Türr, conosciuto come Stefano Turr (Baja 1825 - Budapest 1908)

    Militare e politico ungherese è noto in Italia per la grande parte avuta nella campagna dei Cacciatori delle Alpi e nella spedizione dei Mille.
    Nativo della città di Baja, nella provincia ungherese di Bács-Kiskun. Arruolato nell'esercito austriaco, divenne tenente in un reggimento di granatieri ungheresi, con il quale, nel 1848, partecipò alla prima fase della prima guerra di indipendenza. Nel gennaio 1849 passò nel Regno di Sardegna, ove divenne capitano della "Legione ungherese", formata dai molti disertori dell'esercito imperiale. La vittoria finale del Radetzky a Novara, comportò l'abdicazione di Carlo Alberto e la caduta del governo cosiddetto "democratico". La gran parte degli esuli italiani e stranieri lasciarono il Regno di Sardegna per raggiungere i luoghi ove ancora si combatteva: la gran parte verso Roma, Türr in Germania, nel Baden ancora in fermento.

    Nel 1854 passò al servizio dell'Inghilterra arruolandosi nella legione anglo-turca. Nel 1855, contando sulla protezione britannica, osò traversare Habsburg Valacchia e venne arrestato a Bucarest mentre stava acquistando dei cavalli. Le autorità austriache lo consideravano, naturalmente, un disertore ed intendevano eseguire la condanna a morte, ma venne salvato dall'intervento di Londra.

    Nel 1859 combatté in Italia come capitano dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, che lo tenne sempre in grande stima. L'anno successivo lo seguì alla spedizione dei mille: fu promosso generale di divisione e venne gravemente ferito. Scelto da Garibaldi quale governatore di Napoli svolse un certo ruolo nella preparazione e nello svolgimento del plebiscito del 21 ottobre 1860.

    Il 10 settembre 1861 sposò in Mantova Adelina Bonaparte Wyse. Un matrimonio di grande rango, considerato che la sposa era figlia di Thomas Wyse e di Laetitia Bonaparte, quindi nipote di Luciano Buonaparte, fratello di Napoleone I; quindi cugina del nuovo imperatore dei Francesi, Napoleone III. A ciò si aggiunga che la sorella, Maria, sposava in quello stesso 1861 lo statista piemontese Urbano Rattazzi.

    Nel 1866, in connessione con la terza guerra di indipendenza e la campagna di Garibaldi nel Trentino, Türr ebbe incarico di preparare l'insurrezione dell'Ungheria, organizzata a partire dal territorio serbo.
    La sconfitta austriaca costrinse l'imperatore Francesco Giuseppe, a concedere una costituzione ed istituzioni liberali, nonché una rinnovata autonomia per l'antico Regno d'Ungheria. La rinnovata pattuizione venne ricordata come la parificazione (Ausgleich) fra Austria ed Ungheria: il nome stesso dello Stato passò da 'Impero Austriaco' ad 'Austria-Ungheria'.
    Nel rinnovato clima politico si aprì una nuova fase per i fuoriusciti, fra i quali lo stesso Türr, che assunse un non secondario ruolo politico, distinguendosi per la promozione della canalizzazione del Danubio ed il sostegno ad una nascente industria nazionale. Dal 1881 diresse i lavori per il completamento del canale di Corinto, sull'omonimo istmo.

    Gerolamo Remorino (Genova 1827 - 1885)

    Durante la giovinezza si occupò di commercio e fu impiegato nel portofranco dal quale nel 1851 fu licenziato per le sue idee politiche spiccatamente republicane.

    Fu grande amico di Nino Bixio col quale condivise per breve tempo la direzione de "L'Italia libera giornale quotidiano popolare", divenuto poi "L'Italia del Popolo".  Seguì Bixio nel 1858-59 riguardo alla necessità della guerra accompagnandolo a Torino ad offrire collaborazione dei repubblicani al conte di Cavour.
    Ottenuto un ufficio presso la Camera di Commercio di Genova entrò nella redazione del "Corriere mercantile" ove si occupò di porto, commercio e strade ferrate. 

  • Bibliografia:
    • Federico Alizeri: Federigo Alizeri (Genova 1817-1882). Un conoscitore in Liguria tra ricerca erudita, promozione artistica e istituzioni civiche : mostra documentaria e iconografica : 6-14 dicembre 1985 : sala di A Compagna - Palazzo Ducale - Piazza De Ferrari - Genova. [Genova], 1985
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