Autori
Titolo completo
Prae-adamitae. Sive Exercitatio super versibus duodecimo, decimotertio, & decimoquarto, capitis quinti Epistolae D. Pauli ad Romanos. Quibus inducuntur primi homines ante Adamum conditi
Lingua
Latino
Descrizione fisica

52, [14], 260, [10] p., [1] c. di tav. ripieg. : c. geogr. ; 12°

Per il nome dell'A., Isaac de la Peyrere, cfr. British Library

Sui front. possibile marca: (tre spighe)BM suggerisce Leida come luogo di pubblicazione; Willems (Elzevier) non attribuisce questa edizione alla stampa degli Elzevier; c'è chi ipotizza possa trattarsi di un'edizione pirata dell'ed. degli Elzevier uscita nello stesso anno (cfr. Copac)

Segn.: A-O12

Bianche le ultime 3 p

Note

A c. C3r inizia con proprio front.: Systema theologicum, ex praeadamitarum hypotesi. Pars prima

A c. O8r: Synagogis Judaeorum universis, quotquot sunt per totum terrarum orbem sparsae.

Quest’opera venne condannata dal Parlamento di Parigi e dal vescovo di Namur. La Peyrère venne arrestato nei Paesi Bassi spagnoli e rischiò il processo di fronte al tribunale dell’Inquisizione. Riuscì a salvarsi solo grazie a una sua ritrattazione di fronte al papa Alessandro VII, alla sua conversione dal calvinismo al cattolicesimo e alla pubblicazione di una lettera di abiura. Tutti questi, però, furono fatti puramente formali in quanto, privatamente, La Peyrère continuò per tutta la vita a difendere il suo sistema preadamitico. L’ugonotto francese Isaac La Peyrère, che riprende una tesi già proposta da Paracelso e da Giordano Bruno, sostiene di essere stato ispirato dalla lettura del capitolo V della Lettera ai Romani di Paolo. L’opera può essere considerata uno studio critico della Bibbia volto a dimostrare che questa altro non rappresenta che la storia del solo popolo ebraico. Come già i suoi predecessori, La Peyrère nega il carattere umano di popoli quali gli amerindi (inclusi nella categoria dei “selvaggi”), sostenendo la loro natura di esseri senz’anima risalenti ad un altro “Adamo”  o addirittura spontaneamente generati dalla terra (così come si pensava avvenisse nel caso di altri “esseri imperfetti”  quali gli insetti. O certi rettili). A sostegno della sua tesi egli non esita a fare ricorso anche a dati del tutto incerti quali quelli relativi alla cronologia cinese, portati alla conoscenza degli studiosi europei dalle opere dei missionari gesuiti.
La sua polemica anti-biblica si sviluppa anche in una rielaborazione delle Scritture in funzione antimissionaria. “Laet fa crollare il postulato acostiano della recente origine degli americani… I suoi partigiani si adoprano a sottolineare vieppiù l’antichità della loro origine, facendo appello a tradizioni antiche diverse da quella biblica. La Peyrère non fa che aggiungere a questa tendenza, una soggettiva volontà di polemica anti-biblica: e gli americani diventano per lui tanto antichi, tanto estranei alla storia mosaica, da essere stati creati prima dello stesso Adamo.”
Cfr.: Giuliano Gliozzi, Adamo e il nuovo mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali (1500-1700), Firenze, La Nuova Italia, 1977, p.  511.

Per l’ideologia ecclesiastica, sia cattolica che protestante, il pericolo più grande dell’opera di La Peyrère era quello di minare il dogma del peccato originale, fatto di cui l’autore era ben consapevole. Il sostenere, inoltre, l’origine preadamitica degli americani inserisce La Peyrère in un altro tipo di polemica, una polemica di natura politica in quanto, proprio in quegli anni, gli ideologi del commercio olandese andavano sostenendo, con finalità di tipo politico-commerciale, la grande antichità delle popolazioni americane. E non è un caso che gli olandesi avessero instaurato con le popolazioni del Nuovo Mondo rapporti di tipo laico e puramente commerciale, ben diversamente da quelli di prevaricazione, colonizzazione ed evangelizzazione più o meno forzata instaurati, sia pure in modo diverso dell’una dall’altra, dalle altre grandi potenze europee.

“Col La Peyrère era già compiuto quel complesso di temi eruditi e teorici che ricompariranno trionfalmente, nella cultura europea, un secolo dopo, con l’Essai sur les Moeurs di Voltaire e la sua Philosophie de l’Histoire. Già nei Prae-Adamitae la dimostrazione si svolge su due linee argomentative distinte, ancorché convergenti; per un verso, si ha la rivelazione di tradizioni cronologiche che portano incomparabilmente più addietro dell’epoca ricavabile dalla Bibbia per la Creazione e gli eventi successivi – per esempio: De stupendo annorum numero quem posuisse dicuntur Chaldaei in componendis tabulis suis astronomicis, De prodigiosa Sinensium periodo, ecc. (e qui trova luogo anche il riferimento alla cronologia dei Peruviani e dei Messicani); ma, per un altro verso, si ha anche una considerazione tutta obiettiva, che porta non più sulle ‘memorie’ di popoli pagani estranei all’ebraismo, bensì sui loro raggiungimenti di civiltà, sui progressi da essi compiuti in sede di conoscenza e di concezione del mondo, nella precisa convinzione che, per rendere plausibile che a siffatti progressi si fosse potuto pervenire da parte di uomini originariamente indotti, si dovevano ipotizzare dei tempi che riportavano ad ordini di grandezza eterogenei, per un notevole eccesso, rispetto a quello biblico: Probatur antiquissima mundi creatio ex progressu astronomiae, astrologiae, theologiae et magiae gentilium…. La nitida conclusione formulata dal La Peyrère su questo punto fa parte di quella ‘scoperta del tempo’ che caratterizza in vari campi il Seicento.” 
Cfr.: Sergio Landucci, I filosofi e i selvaggi. 1580-1780,  Bari, Laterza, 1972, p. 323-324.
 

Tipo pubblicazione
Monografia
Pubblicazione
: 1655
Collocazione
1.D.I.41
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