Autori
Titolo completo
Mosè, Gesù e Maometto / pel barone d'Orbach
Paese
SVIZZERA
Lingua
Italiano
Descrizione fisica

266 p. ; 16 cm.

Note

«Alla metà del ‘600 risale la sempre maggior voga di atteggiamenti marcatamente critici nei confronti del giudaismo e del cristianesimo. Vari personaggi dell’epoca, come la regina Cristina di Svezia e certi libertini francesi, stando a quanto si disse e a certe accuse, avrebbero fatto commenti oltraggiosi sulla personalità di Mosè, Gesù e altre figure di spicco della tradizione giudaico-cristiana. Pare che alcune di queste affermazioni risalgano al tardo Rinascimento, a Jean Bodin e al suo inedito Colloquium Heptaplomeres, e alle accuse di ateismo rivolte contro Christopher Marlowe e sir Walter Raleigh. Poco dopo la metà del ‘600 questi commenti negativi andavano cristallizzandosi in vere e proprie tesi, secondo le quali tutte le religioni, giudaismo e cristianesimo compresi, sono opera umana e nascono per motivi politici e sociali; e Mosè, Gesù e Maometto erano dunque degli impostori che fingevano di rappresentare la divinità, null’altro che esseri umani bramosi di autoesaltarsi. […] Sembra che poco dopo la metà del ‘600 si intrecciassero dibattiti in cui ci si chiedeva se tutte le religioni fossero opera umana e se Mosè, Gesù e Maometto fossero solamente dei politicanti che, per ottenere un seguito, rivendicavano per le loro idee una origine divina. […] È probabile che, oltre alle idee radicali volte a negare il valore superumano della tradizione giudaico-cristiana, anche alcuni eventi storici abbiano contribuito a sollevare interrogativi di fondo circa la vera natura di vari capi religiosi. [… Per esempio] nel 1669 John Evelyn pubblicò in Inghilterra un libro col titolo The Three Impostors, che si occupa di Sabbatai Zevi [un ebreo di Smirne che si autoproclamò il tanto atteso Messia, nda] e di altri due capi religiosi meno conosciuti. Nel celebre e assai diffuso Espion turc, apparso in molte edizioni in francese, inglese, olandese, tedesco, italiano e russo, l’autore si dilunga a descrivere Sabbatai Zevi come un impostore… E come suggerirono certi illuministi, se Sabbatai Zevi, James Naylor, X, Y,  o Z potevano essere degli impostori e se Maometto, come ritenevano ebrei e cristiani, era un impostore, perché non prendere in considerazione l’ipotesi blasfema che anche Mosè l’Egiziano e Gesù di Nazareth fossero anch’essi impostori? Coltivare idee del genere significava naturalmente passare bruscamente dal mondo giudaico-cristiano a quello della irreligiosità illuministica. Tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 fu dunque composto uno scritto intitolato dapprima L’esprit de M. Spinosa e successivamente Traité des Trois Imposteurs [Nota in calce], spesso confuso con un altro testo clandestino, De Tribus Impostoribus, che ha un diverso contenuto e una diversa storia. […]  Quando l’opera fu stampata si fece di tutto per camuffarne la paternità, sostenendo che era stata trovata in una biblioteca tedesca e che era stata scritta da Ottone, il segretario di Federico II Hohenstaufen, sebbene vi fosse menzionato Cartesio e vi fossero citati passi di Hobbes. Ma di ancora maggiore interesse è il fatto che l’opera comprende passi della traduzione francese del Tractatus Teologico-Politicus di Spinoza… e… perfino una traduzione francese dell’Appendice del Libro I dell’Etica di Spinosa…»

[Nota] Di un libro con questo titolo, ma  conosciuto anche come De tribus impostoribus, si parla ampiamente nella corrispondenza fra studiosi del XVII secolo sebbene sembri oggi accertato che di quest’opera si parlasse ancora prima che in effetti esistesse (si veda l’articolo di Françoise Charles-Daubert in Filosofia e religione nella letteratura clandestina 1994, p. 291 e segg.). Ben presto però queste “testimonianze” private troveranno fondatezza in una vasta produzione manoscritta, tanto in Europa quanto in America, di opere così intitolate e di carattere tra loro simile, fino a prendere una sua forma per mano di P. des Vignes. Una consolidata  tradizione attribuiva il Traité ad Averroè  e questo, sul piano puramente teorico, con una certa verosimiglianza se si considera che nell’ambito della cultura sincretistica viva alla corte di Federico II venne scritto il “racconto dei tre anelli”, confluito poi nel Novellino, nel quale le tre religioni monoteistiche rappresentano dei tentativi di adattamento a realtà ed epoche diverse di un’unica verità metafisica. Il successo che ebbe quest’opera, a lungo inesistente, fu tale che molte opere, sebbene di carattere diverso dal Traité e incentrate solo sul tema comune dell’impostura, apparvero e furono pubblicate sotto questo stesso nome. Tra queste quella qui esaminata (si rimanda all’articolo citato di F. Charles-Daubert per la disamina dell’articolatissima famiglia di testi a cui l’opera appartiene). All’origine di questa versione del Traité stanno alcuni manoscritti (L’esprit de M. Spinosa [1712]  o De tribus impostoribus [1709] o  Traité des Trois Imposteurs; La vie & l’esprit de M. B. de Spinosa [ms. 1716, Iª ed. a stampa 1719 presso Levier all’Aia] ; Le fameux livre des trois imposteurs [1716]) e, tra questi, in particolare il primo: L’esprit de M. Spinosa. La prima edizione di questa versione dell’opera è del 1768  a cura di P.H.D. d’Holbach, per essere poi ristampata fino al 1796, senza tuttavia che ciò arrestasse una vasta produzione manoscritta. Quanto all’autore dell’opera in oggetto, sono state fatte diverse ipotesi, tutte comunque povere di appoggi: vi è chi sostiene che l’autore fosse un ugonotto  rifugiatosi in Olanda negli anni ’70, Jean-Maximilien Lucas (il quale è invece sicuramente l’autore della Vie de Mr. Benoit Spinosa, assente nell’edizione del 1768), chi ne fa risalire l’ispirazione al canonista Giovino Di Solcia attivo nella prima metà del ‘400 (venne condannato nel 1459 per aver sostenuto che “Mosè, Cristo e Maometto avevano governato il mondo a loro capriccio”), chi attribuisce l’opera a uno sconosciuto affiliato alla neonata massoneria olandese (Margaret Jacob Illuminismo radicale Bologna : il Mulino, 1983), chi ancora, e forse più verosimilmente, attribuisce l’opera al libertino conte di Boulainvilliers. Altri ancora hanno attribuito l’opera a M. Servet, a Muret, all’imperatore Federico II, a Spinoza,  a Giordano Bruno...  Il Traité... (che, essenzialmente, corrisponde all’Esprit de Mr. Benoit Spinosa), in conformità a una pratica all’epoca e nel suo specifico contesto assai diffusa, fa un ampio uso di citazioni senza specifico riferimento all’autore (principalmente Spinoza e Hobbes, ma anche Vanini, Lamy, Charron e Naudé) proponendosi  di dimostrare che i principali profeti (Mosé, Cristo e Maometto) hanno fondato le loro religioni con finalità specifiche di controllo sociale  e che dunque l’esistenza stessa della divinità perfetta e reggitrice dell’andamento del mondo deve subire il conseguente ridimensionamento : “II.vi. Non avremo bisogno di lunghi discorsi per dimostrare che la natura non si propone alcun fine, e che tutte le cause finali sono soltanto finzioni umane. A questo scopo ci basteranno appena due parole per mostrare che questa dottrina toglie a Dio le perfezioni che gli si attribuiscono... Se Dio agisce per un fine, sia per se stesso che per un altro, desidera ciò che non ha, e allora bisognerebbe ammettere che vi è stato un tempo in cui Dio, non avendo ciò per cui ha agito, ha desiderato di averlo, il che equivale a ipotizzare un Dio indigente. E per non omettere nulla che possa rafforzare questo argomento, contrapponiamogli il ragionamento di coloro che sostengono l’opinione contraria, e vedremo che è basato unicamente sull’ignoranza... E di qui viene, che chiunque voglia conoscere a fondo le cause naturali da vero uomo di dottrina, senza divertirsi a meravigliarsene da ignorante, passa per empio e per eretico, grazie alla perversità di quelli che il volgo riconosce come gli autentici interpreti della natura e di Dio. Questi spiriti mercenari sanno anche troppo bene che l’ignoranza che mantiene il popolo nello stupore, è ciò che li tiene in vita e perpetua la loro influenza.” L’opera, pur non trattando di tematiche alchemiche o cabalistiche, merita di essere menzionata per il fatto di essere stata elaborata nel milieu del libertinaggio erudito il quale traeva parte della sue linfa da quel  pensiero  ereticale, da quel naturalismo rinascimentale e da quella filosofia ermetica  da cui attinsero, in misura diversa, alchimisti e cabalisti cristiani e, poi, certe frange della massoneria speculativa, che proprio in quel periodo iniziò a prendere forma  e che, da lì in poi, preservò almeno la memoria di quella ricerca, operativa e/o speculativa, tanto nell’ambito della cabala quanto in quello dell’alchimia che venne, da lì a poco, travolta e quasi completamente cancellata prima dall’illuminismo  e poi dalla rivoluzione scientifica e dal pensiero razionalista a questa sotteso. A ulteriore conferma della contiguità tra il  Traité... e l’ambiente del libertinage érudit vale un significativo elogio della Cina. Questo elogio, però, assume anche un incontrovertibile valore per quello che riguarda la datazione dell’opera: la prima opera panegiricizzante la società e la religione cinese (il confucianesimo classico) fu infatti quella del gesuita Trigault De Christiana Expeditione apud Sinas (1615) (ricordiamo, inoltre, che il padre Matteo Ricci fu a Pechino solo nel 1601). Come si è detto, molte furono le opere che vennero pubblicate con questo stesso titolo. A titolo di esempio si può ricordare che in Inghilterra, nel 1669  venne pubblicato da John Evelyn The three impostors, dedicato all’apostata pseudo-messia Sabbatai Tsevi e ad altri due pseudo-profeti; nel 1680 Kortholt diede alle stampe De Tribus Impostoribus Liber incentrandosi sui personaggi di Spinoza, Hobbes e Herbert di Cherbury (‘padre del deismo’ e libertino erudito) ; nel 1707 il libertino olandese Adrian Beverland pubblicò A Discovery ot the Three Impostors, Turd Sellers, Slanderers and Piss Sellers. Degno di nota è l’intervento di Giorgio Spini: “Nel sec. XVIII comparvero due diversi opuscoli con questo titolo; ma né l’uno né l’altro possono considerarsi come un vero De Tribus Impostoribus. L’uno, infatti, è un Traité des Trois Imposteurs, francese, stampato nel 1721, che non rappresenta in realtà che una riedizione sotto mutato titolo di un opuscolo già comparso nel 1719 come L’esprit de M. Benoit Spinoza. L’altro è un De Tribus Impostoribus latino, recante la falsa data del 1598, ma stampato invece, a quanto pare, nel 1753. Si rivela alla lettura come una mediocre operetta deistica, che non sviluppa affatto la teoria che Mosè, Cristo e Maometto siano stati tre impostori, non ha il menomo attacco contro il Cristo e si limita sostanzialmente a criticare Maometto e i libri mosaici da un punto di vista di embrionale critica storico-filosofica. Bisogna dire dunque che il suo titolo non rappresenta altro che una trovata editoriale per assicurarne un più largo smercio. Ciò fa pensare che neppure nel secolo XVIII si conoscesse effettivamente un libello De Tribus Impostoribus, ma che si trovassero semplicemente degli editori clandestini, vogliosi di sfruttare la curiosità del pubblico, sollecitando il gusto scandalistico creato dalla leggenda attorno ad un simile titolo... [Alcune testimonianze] condurrebbero a pensare che effettivamente in Francia fosse stato stampato un opuscolo di questo titolo o contenuto negli anni tra il 1560 ed il 1570, cioè nel periodo del violento infuriare delle guerre di religione e che successivamente se ne perdessero le tracce, restando solo la fama di così empio libello. Esse però ... appaiono in netto contrasto coll’affermazione dell’Atheismus Triumphatus, secondo la quale il De Tribus Impostoribus sarebbe stato stampato trent’anni avanti alla nascita del Campanella e cioè verso il 1536. Non è impossibile perciò che lo stesso Campanella parlasse di quest’opera soltanto per sentito dire e non per diretta conoscenza del suo contenuto.” [Ricerca dei libertini. La teoria dell’impostura delle religioni nel Seicento italiano.  Firenze, 1950, p. 88, nota 32].

Cfr.: Richard H. Popkin “Prefazione” a Trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del signor Benedetto de Spinosa a cura di Silvia Berti – Torino, Einaudi, 1994,  p. vii-xi  passim.

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Tipo pubblicazione
Monografia
Pubblicazione
Ginevra: [editore] [s.n.], 0880 [sic!]
Collocazione
LAURA R.II.15
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