La musica dei libri. Opere musicali dei secoli XIII-XIX della Biblioteca Universitaria di Genova
Galleria Nazionale di Palazzo Spinola -(Genova, P.zza Pellicceria 1) -15 Aprile - 20 luglio 1997
Materiale utilizzato per le visite guidate
a cura di Oriana Cartaregia, Calogero Farinella e Graziella Grigoletti
Introduzione.
La mostra vuole essere una scelta molto ristretta per esemplificare la varietà e vastità del materiale musicale posseduto e accumulatosi nel corso dei secoli nelle raccolte della Biblioteca Universitaria di Genova. Erede della Libraria del Collegio gesuitico di strada Balbi, diventa Biblioteca dell'Università con la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773 e Biblioteca Nazionale nel 1801 nel periodo della Repubblica Ligure; ingrandì mano a mano le sue raccolte oltre che con l'incorporamento delle biblioteche degli ordini religiosi soppressi in due riprese alla fine del XVIII sec. e a metà del XIX, anche grazie ad acquisti e donazioni. Poiché particolare è il rilievo dei volumi di interesse musicale, con la presenza di trattati teorici, opere pratiche, didattiche e anche di diletto (riduzioni per pianoforte, brani "da salotto", ecc.) si è resa necessaria per la comprensione un'organizzazione in tre sezioni, all'interno delle quali si è cercato di mantenere un legame con la realtà e i territorio genovese.
La prima sezione è dedicata ai numerosi libri liturgici manoscritti e a stampa che recano notazioni musicali.
La seconda sezione espone esempi di trattati teorici affiancati da manuali per l'apprendimento della musica e da volumi sulla conoscenza di particolari aspetti della realtà musicale. Questa sezione ospita anche opere di pratica strumentale e vocale.
La terza e ultima sezione cerca di dare uno spaccato della intensa attività del mondo dell'opera lirica e sulle varie occasioni mondane accompagnate da spettacoli e rappresentazioni musicali.
Alcuni strumenti originali e in riproduzione affiancano i volumi esposti.
Per non lasciare "mute" le opere esposte nella 2^ e 3^ sezione il percorso è stato accompagnato da brani musicali del '500 e '600 dei quali è stato fornito un elenco con autori e titoli.
Bibliografia essenziale utilizzata:
M. R. Moretti Musica & Costume a Genova tra Cinquecento e Seicento, Genova, 1990.
F. Ragazzi Teatri storici in Liguria, Genova, 1991.
M. Gozzi, Le fonti liturgiche a stampa della Biblioteca musicale L. Feininger presso il Castello del Buo Consiglio di Trento, Trento, 1994.
Anche per il Cristianesimo, come per tutte le altre religioni, la musica ha avuto e ha un ruolo molto importante nella celebrazione dei riti. Inizialmente la liturgia cristiana derivò molti elementi testuali e musicali dalla liturgia ebraica per staccarsene formando un corpus testuale e musicale proprio. Nei primi secoli del Medioevo fiorirono molti riti locali con melodie e canti specifici. Il rito romano, per esempio, che diverrà dopo il Concilio di Trento quello ufficiale della Chiesa Cattolica, era osservato solo nella diocesi di Roma e zone limitrofe e nei paesi di nuova conversione. Dall'VIII secolo prese l'avvio un processo di unificazione liturgica che portò col tempo alla sua estensione in tutto l'Occidente e del canto ad esso collegato: il canto gregoriano.
Nei libri liturgici dal IX secolo in poi cominciarono ad apparire dei segni musicali, neumi, che non indicavano l'esatta altezza dei suoni ma un generico andamento delle melodie (in pratica segnalavano il movimento del braccio del capo-coro), che dovevano essere ricordate a memoria oralmente. I cantori per imparare il repertorio dei canti liturgici dovevano studiare almeno dieci anni. Questa incertezza nell'intonazione proseguì sino all'IX secolo quando Guido d'Arezzo (950 ca. - 1050) attribuì i nomi alle note dell'esacordo ricavandoli da un inno a S. Giovanni (UT queant laxis / REsonare/ MIra festorum / FAmuli tuorum / SOLve polluti /LAbij reatum alle quali si aggiunse in seguito Sancte Ioannis, cioè il SI). Guido raccomandò anche nel suo Regulae de ignotu cantu l'uso di un rigo musicale di quattro linee (tetragramma) ciascuna delle quali era contrassegnata da una lettera chiave (F = FA; C = DO; G = SOL) e anche da un colore (rosso per il FA, giallo per il DO). L'apprendimento del canto fu rivoluzionato da questo sistema e dall'impiego della cosiddetta "mano guidoniana", un sistema mnemonico che utilizzava il frazionamento delle falangi della mano per ricordare la regola dell'esacordo di Guido d'Arezzo. Per un cantore cominciarono a essere sufficienti soli due anni di studio per imparare l'intero corpus gregoriano. Il sistema guidoniano comportò la trasformazione dei neumi in grosse note quadrate nere che si diffusero in tutta Europa, pure nel permanere di notazioni locali specifiche(la gotica, l'alsaziana, la beneventana, ecc.).
I libri liturgici si dividono, per il loro contenuto, in due grandi categorie: quelli riservati alla celebrazione della Messa (graduale e messale) e quelli riservati all'Ufficio divino o liturgia delle ore, le preghiere da recitare durante le ore della giornata nelle comunità religiose (antifonario, breviario, salterio e libro d'ore ).
Un'altra distinzione necessaria alla comprensione riguarda la loro destinazione: mentre il breviario e il messale sono fatti ad uso del celebrante il rito liturgico, ed hanno quindi un uso individuale, il graduale e l'antifonario sono destinati al coro, che poteva essere formato da tutta la comunità monastica o da un gruppo di cantori o schola . Per questo motivo il graduale e l'antifonario sono chiamati genericamente "corali".
L'uso collettivo di questi libri, che dovevano poggiare su alti e grossi leggii ed essere visti da molte persone, ne spiega le grosse dimensioni, la notazione e il testo molto grandi. Anche la parte decorativa aveva, oltre all'innegabile valore estetico, un uso pratico e celebrativo: serviva a ricordare il testo e a scandirlo, a seconda dell'importanza delle feste, o dei santi più importanti nelle celebrazioni della comunità a cui il corale era destinato. Tutti questi motivi spiegano anche il perché in piena epoca di stampa i libri ad uso del coro continuarono ad essere manoscritti: sarebbe stato un costo insopportabile, per le innovazioni necessarie sul torchio e sui caratteri, sostenere la stampa di siffatti libri di grandi dimensioni.
Altro libro liturgico con notazione e per l'ufficio divino è il Salterio che contiene il testo dei salmi biblici da recitare durante il giorno (uso sia individuale che collettivo); il Capitolario (le preghiere da recitarsi durante l'adunanza dei religiosi, cioè il capitolo, nel quale si trattavano le questioni e i problemi della comunità religiosa; il Collettario (preghiere dell'inizio della Messa); l'Epistolario (le lettere del Nuovo Testamento e della Messa. Altro libro utilizzato per la preghiera, in questo caso individuale, è il Libro d'ore .
Il messale reca i testi necessari al sacerdote per celebrare la Messa, compresi i brani cantati. Sino al Concilio di Trento i messali conobbero una grande varietà di struttura. Pio V nel 1570 impose l'adozione obbligatoria del nuovo messale (ad consuetudinem Sanctae romanae Ecclesiae), ad eccezione di alcune chiese e di pochi ordini religiosi che mantennero la propria specificità liturgica. I Carmelitani erano fra questi poiché si rifacevano alla liturgia della Chiesa di Gerusalemme (Hierolosomitanae Ecclesiae ). In mostra si espone un messale carmelitano particolarmente suggestivo per la legatura. Il Rituale raccoglie i testi e le prescrizioni per le azioni liturgiche presiedute da un sacerdote ad esclusione di quelle raccolte nel messale e nel breviario. i mostra si può vedere un Rituale delle monache di S. Chiara di Genova che porta notazione bianca o vuota.
Fra i rituali ha particolare importanza il Sacerdotale , pubblicato dal 1523 in poi, utile a tutto il clero che aveva bisogno di una raccolta completa di formule per la celebrazione delle varie funzioni sacre da lui presiedute. Il sacerdotale contiene anche un breve trattato che cerca di fornire indicazioni per l'apprendimento del sistema musicale guidoniano; quello che si vede in mostra è del 1588 e contiene, come la maggior parte dei sacerdotali, piccole xilografie che esemplificano, a mo' di scenografia, i gesti del sacerdote durante le varie cerimonie. La tecnica di stampa adottata per stampare le notazioni musicali è quella dei caratteri mobili componibili, e consiste di una doppia, o anche tripla, impressione: prima venivano stampati i righi (normalmente in rosso) e poi le note (quadrate nere) con i testi e le stanghette verticali di separazione. Questo sistema a due o tre impressioni fu quello maggiormente impiegato per i libri liturgici sino agli inizi dell'Ottocento.
Il Pontificale raccoglieva le formule e i testi, compresi i canti, destinati ai riti presieduti dal vescovo (pontifex), cioè la cresima, l'ordinazione, la consacrazione delle chiese, ecc. La prima edizione a stampa di questo libro si ebbe a Roma (1485) per iniziativa di Innocenzo VIII, ne seguì un'altra sempre romana nel 1497, e quindi una veneziana stampata dalla famiglia Giunta nel 1520. Il pontificale esposto in mostra, del 1543, è in pratica una riedizione di quello giuntino del 1520; sempre ad opera dei Giunta riutilizza gli stessi legni. L'altro pontificale esposto, post-tridentino, è aperto sul frontespizio sontuosamente inciso (1645: baldacchino di S. Pietro) e mostra come dal 1520 questo libro rimase praticamente invariato sino al Concilio Vaticano II. Il pontificale ha parti di particolare rilievo musicale perché vanno a completare il repertorio del graduale e dell'antifonario.
Il processo di unificazione liturgica iniziato nell'VIII secolo produsse lentamente una limitazione del rito e del canto ambrosiano alla sola diocesi di Milano e a poche altre zone, tra le quali alcune chiese della Liguria (le quattro pievi di Recco, uscio, Camogli e Rapallo). Il messale ambrosiano in mostra potrebbe provenire da una di queste pievi.
Malgrado l'operato di alcuni papi, il rito spagnolo delle zone sotto la dominazione araba (o mozarabico) resistette ai tentativi di normalizzazione e solo con Gregorio VII (1071) la liturgia mozarabica fu circoscritta alle sei parrocchie di Toledo. Nel XVI secolo il Cardinale Cisneros tentò di far rivivere il canto e rito mozarabico, ma la complessità di questo fu tale che il messale che egli fece stampare nel 1500 a Toledo (visibile in mostra) risultò un tentativo fallimentare. Ormai la tradizione di quel canto si era persa e nessuno era più in grado di eseguire quegli antichi e complessi canti.
La Messa di s. Giuseppe del 1791 redatta ad uso delle Scuole di Carità del Borgo di Prè. Le scuole di Carità, che sorsero numerose a Genova già nella seconda metà del XVIII secolo (Garaventa ne fu uno dei massimi fautori) erano istituti di accoglienza per fanciulli indigenti, da qui il senso di questa messa attraverso la quale i tutori di questi bambini, come s. Giuseppe lo fu per Gesù, chiedono al Santo protezione nel loro compito educativo. Il manoscritto, tardo, utilizza elementi tratti da volumi a stampa quali incisioni e struttura impaginativa e grafica. La fattura naïf di questo manufatto ci fa pensare che la sua produzione sia potuta avvenire in loco.
Il Messale fiorentino in mostra, il più antico posseduto dalla BUG, fu redatto sicuramente poco dopo il 1264, anno di consacrazione della festa del Corpus Domini presente nel codice in una posizione inconsueta, come se fosse stata inserita durante la stesura stessa del libro. La presenza poi della messa per s. Zanobi fa pensare che esso fosse in uso presso la Cattedrale fiorentina di s. Reparata (dal 1296 dedicata a s. Maria del Fiore). L'analisi stilistica delle lettere istoriate del codice (ad opera di A. De Floriani) conferma la datazione poiché vi si trova riscontro puntuale con esempi iconografici fiorentini databili tra il 1275 e la fine degli anni Ottanta del Duecento, con un gusto bizantino ammorbidito a scapito della precisione delle forme.
Il Messale pavese fu invece manoscritto prima del 1450. Pervenuto in Biblioteca per donazione (Gaslini 1942), fu redatto per degli Agostiniani di Pavia. La messa in evidenza nel calendario dei santi Agostino e Severino Boezio fa pensare che esso fosse utilizzato dai Padri di s. Pietro in Ciel d'oro.
La decorazione, e in mostra godiamo di una bella miniatura (s. Giovanni Evangelista e la Vergine accanto a Gesù in croce) e di una sontuosa lettera T di "pennello", è coeva e della stessa area pavese. I richiami sono a Michelino da Besozzo (attivo tra il 1388 e il 1445) e Belbello da Pavia.
Alla fine di questa prima sezione abbiamo voluto inserire un "gioiello di famiglia" il Messale genovese redatto intorno alla metà del Quattrocento per la Cattedrale di s. Lorenzo di Genova. Assai inconsueta è l'iconografia dell'istoriata (lettera A) posta all'inizio della messa. I riferimenti culturali e iconografici sono sia lombardi che toscani. Nella speranza di poter stabilire la presenza di una miniatoria scuola genovese in quel periodo, il codice è oggetto di studio da parte di un'allieva della Prof. Ciardi Duprè Dal Poggetto.
La teoria e la pratica musicale
1. La teoria
Come abbiamo potuto vedere con la riforma di Guido d'Arezzo la continuità tra parola e musica era un retaggio antico che, a causa in particolare della metrica letteraria latina, accomunò per molto tempo la didattica musicale a quella grammaticale. Il trattato quattrocentesco sul contrappunto medioevale contenuto nella Miscellanea grammaticale in uso presso il monastero benedettino di s. Benigno Capo Faro ne è un felice esempio. Nel Medioevo la musica era inserita tra le arti liberali del Quadrivium (con aritmetica, geometria e astronomia) e il Trattato di Pedro Ciruelo (?- 1548) esposto si inserisce in questa tradizione che vedeva una netta scissione tra la teoria e la prassi esecutoria, limitandosi, ancora nel Cinquecento, a riprendere le teorie della tarda romanità (Boezio in particolare) con spiegazioni astratte dei fenomeni musicali.
Franchino Gafurio (1451-1522) con la sua Practica (1497) fu uno dei massimi rappresentanti, in quanto compositore, di una tendenza assai innovativa che si orientava verso aspetti più musicali ed esecutivi o teorici legati ai rapporti tra le note (accordi). Gafurio fu a Genova, chiamato dal doge Prospero Adorno, tra il 1477 e il 1478 dove insegnò e praticò musica. L'esemplare esposto ci mostra anche un altro modo di stampare il rigo musicale: il metodo xilografico con il quale rigo, note ed eventuale testo erano incisi insieme su legno e impressi in una sola volta. Il sistema xilografico veniva utilizzato nei trattati teorici dove la parte musicale era piuttosto limitata.
Nel grande trattato del massimo teorico musicale del '500 Gioseffo Zarlino (1517-1590), successore di Cipriano de Rore come maestro di cappella in S. Marco a Venezia, abbiamo una sintesi critica di una vastissima letteratura filosofica, teologica, matematica e storica sulla musica. Zarlino con le Istituzioni armoniche unì teoria musicale matematizzante e compositiva, avanzando la distinzione tra "modo maggiore" e "modo minore" e delineando l'impianto dell'accordo della moderna armonia. Difese sia la superiorità del contrappunto come massima espressione musicale, sia della voce umana più capace di imitare la natura rispetto all'artificiosità della musica strumentale.
Tra i continuatori di Zarlino, anzi fra i suoi massimi divulgatori, fu Orazio Tigrini (1535-1591). Anche l'opera di Camillo Angleria (1580 ca.-1630?), risente dell'influsso di Zarlino, ma ha intenti eminentemente pratici ed è una fra le prime opere ad occuparsi estesamente del contrappunto strumentale andando oltre a quello vocale. I due volumi della Musurgia dell'eclettico gesuita Athanasius Kircher (1601-1680), posseduti dal Collegio dei Gesuiti di Genova, risultano essenziali per la comprensione della teoria musicale del XVII secolo. Partendo da una concezione teologica, il cosmo si manifesta attraverso la razionalità musicale e l'armonia dei suoni rispecchia quella divina [si veda l'incisione che rappresenta un organo come strumento "divino"], egli ci fornisce ricche informazioni su fenomeni acustici, strumenti musicali, macchine e congegni per produrre suoni, così come notizie sulla storia della musica nelle culture antiche e sul valore terapeutico e curativo della musica.
L'Introduzione armonica di Paolo Serra (1725 ca.-1798) è esempio del perdurare, anche nel XVIII secolo di un tipo di didattica molto teorica e ridondante di notizie. Serra è oggi rivalutato poiché fornisce molte informazioni sulla musica barocca.
Altre opere esposte:
Fabio Sebastiano Santoro (1715): canto gregoriano
Giovenale Sacchi (1726-1789): opera nella quale presenta un particolare aspetto della teoria musicale, l'acustica.
Giovanni Battista Martini (1706-1784) fu considerato "il Dio della musica de' nostri tempi" e nel 1770 anche Mozart si fermò a riverirlo. Egli ebbe un ruolo essenziale come insegnante e alla sua scuola si formarono molti compositori liguri quali Luigi cerro, Gaetano Isola e certamente Lorenzo Mariani che operò a Savona e a Genova. Il suo trattato costituisce l'illustrazione del suo metodo pedagogico strutturato sul confronto con i modelli compositivi offerti dagli autori rinascimentali e barocchi considerati come esempi concreti dai quali partire per ulteriori approfondimenti storico-estetici.
Francesco Vallara: canto gregoriano.
2. La pratica
In questa vetrina sono poi esposti due volumi che rappresentano un altro aspetto importante dell'uso e della pratica musicale: il ballo. La danza era uno dei tre esercizi insegnati nelle accademie nobiliari insieme all'equitazione e alla scherma. La musica per il ballo era fondamentale per una società aristocratica e di corte dove le occasioni mondane erano frequenti e ricercate. Il trattato di Dufort fornisce esempi di vere e proprie coreografie di danze e riconosce il primato della teorizzazione sul ballo agli italiani. Il Nuovo Ballarino di Fabrizio Caroso è una fonte insostituibile sulla musica da ballo e sui passi di danza, dalle più semplici figurazioni alle complesse coreografie per abili coppie cortigiane come il passo e mezzo.
La parte della prassi esecutiva musicale, rappresentata dalle ultime tre vetrine di questa sezione, comincia con una scelta di intavolature, cioè di opere di repertorio liutistico solista dalla notevole raccolta liutistica conservata in BUG. La vetrina è accompagnata da una riproduzione di un liuto a otto cori (1995: costruttore Giuseppe Tumiati) del XVI secolo bolognese. caratteristica dell'intavolatura è che il sistema di notazione indica graficamente all'esecutore la posizione delle dita sui tasti e sulle corde dello strumento. il Giardino, manoscritto redatto tra il 1585 e il 1595, è un'antologia copiata "dalle più rare", recita l'anonimo copista, intavolature possedute dal Duca di Nemours e contiene brani di Cipriano de Rore, Orlando di Lasso, Alessandro Striggio e altri. É un esempio di intavolatura italiana che si serve di un rigo di 6 linee, ciascuna delle quali rappresenta una corda del liuto (la più alta è la corda più grave, la più bassa quella più acuta). i suoni sono indicati con i numeri posti sulle linee del rigo: lo 0 indica la corda vuota, l'1 il primo tasto e così via; i segni sopra il rigo rappresentano i valori ritmici. Il Thesaurus di J. B. Besard è un esempio, a stampa, di intavolatura francese: usa la posto dei numeri le lettere (A è la corda vuota, b il primo tasto, ecc.) e la linea superiore del rigo simboleggia la corda più acuta. Questa copia del Thesaurus presenta delle aggiunte manoscritte, forse di mano genovese, che contengono fra l'altro un prospetto per trascrivere "all'uso italiano" le intavolature francesi raccolte nel volume e diverse trascrizioni di brani di vari musicisti europei, tra cui una sconosciuta Almande Monsieur di John Dowland (1563-1626) compositore molto eclettico e estroso di Dublino.
Toderini: curioso trattato su strumenti a corde turchi.
Straordinaria per compattezza la presenza in BUG delle opere dei maggiori esponenti del "nuovo genere musicale" affermatosi nella prima metà del Seicento: il canto monodico accompagnato dagli strumenti. Francesco Rasi (1574-1621) la cui edizione delle Vaghezze è esemplare unico conosciuto. Bartolomeo Barbarino (?-1617?), detto il Pesarino, compositore, poeta e organista. Compose madrigali monodici con accompagnamento di contralto. Scriveva anche i testi dei madrigali e il suo linguaggio musicale rispecchia il gusto letterario barocco del "meraviglioso". Sigismondo d'India (1582 ca.-1629?) definì il suo stile "peregrino e nuovo". Marco Antonio Negri (?- post 1621) fu fra i primi a praticare il nuovo genere inaugurato da C. Monteverdi che ne rivendicò le caratteristiche definendolo "seconda prattica" in contrasto con la teoria vocale contrappuntistica di Zarlino. Questa pratica valorizza il perfetto connubio tra musica e testo.
Melodia, armonia e ritmo al servizio della parola. Queste edizioni barocche ci illustrano anche un nuovo modo di imprimere i caratteri musicali a stampa: la stampa in un'unica impressione.
La pagina musica veniva composta a caratteri metallici mobili poiché ogni nota veniva considerata come singola unità tipografica, di modo che ogni carattere fosse rappresentato dalla nota con la sua gamba, chiave, segno musicale e relativo pezzetto di rigo. Dalla giustapposizione delle note carattere nasceva l'intero tetragramma o pentagramma con le note nella loro giusta altezza melodica. il tipografo più rappresentativo di questa tecnica fu Angelo Gardane e la sua famiglia (vedi: Rasi).
Nell'ultima vetrina abbiamo voluto inserire la Messa a 2 cori di G. Lorenzo Mariani, compositore lucchese che morì a Genova nel 1793 e che scrisse questa messa, di cui la BUG a curato con il Prof. G. E. Cortese l'edizione a stampa, per l'incoronazione del doge Michelangelo Cambiaso.
L'incoronazione avvenne nel febbraio del 1792 nella Cattedrale di s. Lorenzo. Oltre all'importanza storica è questo un esempio di musica liturgica non gregoriana.
Nella stessa vetrina abbiamo una trascrizione manoscritta del XIX del Lobkowitz Quartette di Haydn, sicuramente copiata da una partitura a stampa.
Musica in scena
Il teatro in musica si affermò come genere nella città di Genova assai precocemente come dimostra la presenza di un teatro già operativo nella prima metà del '600.
Un teatro pubblico a pagamento, il Teatro del Falcone (derivato dall'antica Osteria del Falcone in borgo Prè) fu inaugurato in Via Balbi e già nel 1646 venne rappresentato L'Orfeo di C. Monteverdi, in mostra nell'edizione del 1609. Accanto a questi vediamo l'edizione del 1637 dell'Erminia sul Giordano di Michelangelo Rossi, compositore genovese grande virtuoso del violino (Michelangelo del violino). Con il Teatro del Falcone Genova entra nel circuito delle compagnie di "mercenari musici" di tutta Italia. Nel 1702 si aggiunsero gli altri due palcoscenici cittadini, i teatri delle Vigne e da s. Agostino.
Accanto all'opera teatrale "profana" si sviluppò la forma teatrale dell'oratorio sacro [vedi: Oratorio di s. Filippo 2^ vetrina] e quella dei festeggiamenti in occasione di nozze [vedi ms.: Tutto il mal non vien per nuocere] che come altre rappresentazioni si svolgeva nei teatri "de villezzi" o "da villegiatura" che allestivano opere durante il periodo estivo trascorso dall'aristocrazia "in villa". i più importanti teatri di villeggiatura erano quelli di Crosa Larga di s. Pier d'Arena (oggi via Palazzo della Fortezza, da Via Buranello) attivo dal 1779, e quello di s. Francesco d'Albaro in funzione tra il 1787 e il 1795, al quale era affiancata una "officina per le sorbetterie", ossia un caffè.
La frequentazione dei teatri, specialmente del Falcone, era piuttosto interclassista e il teatro fu luogo di scontro e confronto politico come ben dimostrano le dediche nei libretti tardo settecenteschi (Vedi: I due sordi burlati, "ai cittadini"). La fortuna dell'opera lirica proseguì per tutto il XIX secolo e Genova si arricchì di un nuovo teatro, il Carlo Felice inaugurato nel 1828 con il melodramma Bianca e Fernando di Vincenzo Bellini.
La rosa bianca e la rosa rossa, testo di F. Romani e musica di Johann Simon Mayr.
Infine uno spaccato della musica popolare da salotto ottocentesca, di cui la BUG ha un vasto repertorio: Lassame sta di E. De Leva con testo di S. Di Giacomo.