La botanica nei libri illustrati della Biblioteca Universitaria di Genova (secc. XV-XIX )

Tre incontri con il Garden Club di Genova - 20 e 27 ottobre e 3 novembre 1999

a cura di: Oriana Cartaregia, Calogero Farinella, Graziella Grigoletti

 

La botanica

Benché l'interesse per le piante in quanto fornitrici di cibo, legname, fibre tessili, coloranti, droghe medicinali, sia antichissimo, la fondazione della botanica è fatta risalire a Teofrasto di Efeso (IV secolo a. C.). Con Aristotele la botanica diventa parte integrante della filosofia naturale. Comunque , per molti secoli, e per tutto il Medio Evo, essa è considerata non autonomamente ma come branca della medicina a causa dell'interesse farmacologico per le piante. La costituzione della botanica in disciplina scientifica indipendente e autocostituita si avvia alla fine del XVIII sec. e si afferma soltanto nel secolo successivo.

L'illustrazione botanica

Particolarmente lunga è la storia della pittura botanica, che pervenne a maturazione prima di altre aree dell'illustrazione scientifica. Molteplici erano le funzioni dell'illustrazione scientifica:

- aggiungeva dignità al testo;

- poteva avere una funzione simbolica (nascondimento di verità dietro figure naturali)

- aveva spesso una funzione didattica.

L'osservazione delle immagini scientifiche ci restituisce oggi la registrazione dello stato di conoscenze umane nel corso del tempo. Disegni e manoscritti mostrano come le percezioni visive della natura e dell'universo vengano ad alterarsi con il modificare della comprensione scientifica. Grazie all'invenzione della stampa fu possibile una standardizzazione delle conoscenze.

L'illustrazione botanica nei libri, prima manoscritti, poi a stampa, fu possibile grazie ad alcune tecniche specifiche: la miniatura, la silografia, la calcografia o incisione e la litografia.

Miniatura . Il verbo "miniare" deriva dal termine latino minium col quale si intendeva non tanto il color minio che conosciamo oggi, quanto il cinabro che veniva usato, sin dalla tarda antichità, per tracciare le lettere iniziali di un testo o di un capitolo, allo scopo di facilitare la sua memorizzazione secondo le divisioni interne al testo stesso.

L'uso del verbo "alluminare/illuminare", trae probabilmente origine da allume sostanza che veniva utilizzata come legante per alcuni pigmenti sia nella tecnica miniatoria sia nella colorazione di stoffe e pelli. Già dal XII secolo con "illuminare" si intendeva anche lo stendere le tonalità più chiare su visi e vesti: il termine è così collegato, secondo un'interpretazione etimologica forse meno fondata, ma altrettanto seguita, a lumen , in rapporto quindi alla luminosità che la pagina miniata acquistava tramite la vivace policromia e il frequente uso dell'oro o dell'argento in foglia.

Dopo un complesso sistema di preparazione della pergamena, i fogli membranacei venivano ridotti a forma regolare, piegati, tagliati e sovrapposti a formare i fascicoli che - scritti e miniati - sarebbero stati rilegati in volume. La piegatura in otto parti (la più diffusa per codici di medio formato) consentiva di ottenere immediatamente dei "quaderni" (di otto carte) in cui il "verso pelo" (cioè lo stato papillare, già a contatto con l'epidermide, più scuro e talora rugoso) e il "verso carne" (cioè lo strato reticolare, già a contatto con l'ipoderma, più chiaro e liscio) del derma risultassero alternati a due a due. Si effettuava poi la rigatura che permetteva di scrivere il testo in modo regolare su una o più colonne di dimensioni e posizione costante in rapporto ai margini dei fogli. Era solitamente eseguita sul fascicolo aperto, "a secco" (con una punta sottile), e dal Basso Medioevo, a "punta metallica ( di argento o di piombo), o a inchiostro (uso del compasso). Una volta finita la fase di scrittura del testo, ad opera dello scriba o copista, il fascicolo passava sotto la cura del rubricator che con un inchiostro rosso a base di cinabro, tracciava le rubriche.

L'intervento del miniatore sul fascicolo scritto e rubricato si iniziava con il disegno preparatorio, tracciato sugli spazi bianchi della pergamena (talvolta ulteriormente levigati a pomice o resi più asciutti con una polvere di ossa). Il disegno veniva eseguito a punta metallica, e spesso rinforzato da una successiva stesura ad inchiostro diluito. Prima del colore veniva applicato l'oro, quando previsto, su alcune zone della miniatura, o lettera istoriata, o cornice, o lettera di pennello. La foglia d'oro era fatta aderire alla pergamena tramite una o più mani d'albume d'uovo sbattuto, oppure mediante una stesura di "bolo armeno" (argilla rossastra) e gesso: il primo sistema, di origine bizantina, è meno duratura della seconda. Dopo aver appoggiato la foglia d'oro su mordente, il miniatore eliminava le eventuali sbavature e "bruniva" la lamina soffregandola con una sostanza dura e levigata (onice o altra pietra, dente di lupo o di altro animale, montati ad anello, per assicurarne l'adesione e aumentarne la lucentezza. In seguito, soprattutto utilizzando il "bolo armeno", si poteva intervenire sui bordi o anche all'interno della doratura con stili appuntiti o punzoni per decorare a merletto o a damasco. Raramente la lamina d'oro era sostituita dall'argento o dallo stagno (eventualmente verniciati di giallo per protezione e ad imitazione dell'oro); più spesso l' ro in polvere o sostanze sostitutive (porporina), uniti a diversi leganti (mercurio, gomma arabica, albume) erano usati come inchiostri e, soprattutto, per ottenere il massimo della luminosità sulle forme in oggetto: tecnica adottata in particolare nella miniatura francese e fiamminga del Quattrocento, con esiti di eccezionale raffinatezza quando, unita alla pittura monocroma ( en grisaille ) si otteneva il camaieu d'or . [Curzio Rufo: BUG Ms. E.IX.2]. I pigmenti utilizzati per colorare le miniature potevano avere origine sia vegetale (legno di brasile per il rosso, fiori di zafferano e ireos, bacche di spingerbino per il giallo-verde), sia animale (porpora e kermes) sia minerale (verde rame, mercurio, zolfo, piombo) anche trattati chimicamente. Come leganti si utilizzavano la gomma arabica, l'albume d'uovo spesso mescolati fra loro con allume o sostanze zuccherine. Finita la stesura del colore si usavano sostanze fissanti per proteggere i colori: di norma si verniciava con un lieve strato di albume, talvolta mescolato alla gomma arabica.

 

Silografia . Ai primordi della stampa, poiché i tipografi si trovarono a dover competere con il lavoro dei miniaturisti di manoscritti, cercarono di abbellire i loro libri con iniziali, fregi e illustrazioni del tutto analoghe a quelle dei codici. A partire dal 1456 però essi cominciarono ad utilizzare l'antica tecnica della silografia che ben si adattava al principio della stampa tipografica. La tecnica della silografia consiste in una matrice, o tavola, di legno (all'inizio fu usato un tipo di legno morbido, poi più duro come il pero, il bosso o il ciliegio) che viene imbiancata in superficie. Il disegnatore, direttamente alcune volte, o un "copiatore" di disegni altrui spesso, traccia sulla superficie così trattata il disegno da produrre. L'intagliatore, servendosi di "sgorbie" e di "bulini" intaglia tutto intorno al disegno le parti che devono rimanere bianche. A lavoro ultimato l'immagine rimane "in rilievo", esattamente come la lettera dell'alfabeto nel carattere tipografico, e può essere inchiostrata, generalmente con un rullo, in modo che le parti abbassate dal lavoro di bulino non vengano toccate dall'inchiostro. La matrice viene quindi coperta dal foglio di carta sul quale dovrà rimanere impresso il disegno e trasferita sotto il torchio: la pressione necessaria a trasferire l'immagine viene quindi esercitata su tutta la superficie da stampare abbassando la parte superiore del torchio (platina) [Vedi fig. 1].

 Figura 1
Fig.1

 

 

 

 

 

Sul foglio stampato l'immagine risulta ben definita e completa, uguale al disegno "risparmiato" sulla matrice, ma rovesciata rispetto allo stesso. Sarà una figura dai tratti monotoni, nel senso che essendo le parti stampanti superfici piane, strette o ampie, rimaste in rilievo a un unico livello dopo l'intaglio del legno, difficilmente daranno l'effetto della profondità e l'eventuale differenza di tono tra le varie parti dell'immagine sarà suggerita dai segni più radi o più fitti della composizione. [Vedi fig. 2].

Figura                             2


Fig. 2


 

 

Calcografia . La tecnica a calco in un primo tempo anche su legno , ma poi soprattutto su metallo (rame, ma anche ferro e zinco), ha anch'essa origini antiche. Si pensa sia stata sperimentata da orafi fiorentini a metà Quattrocento, ma anche se introdotta sperimentalmente nell'arte tipografica già nello stesso secolo, fu poi costantemente adottata nell'illustrazione libraria nel corso del Cinquecento. Pietro de Nobili pubblicò il suo Herbal (1580 ca.) che fu uno dei primi testi ad utilizzare l'incisione in rame nel riprodure le illustrazioni. La matrice calcografica, normalmente in rame levigato “a specchio”, veniva ricoperta da uno strato di cera con pece e mastice sul quale era più facile per il disegnatore tracciare il soggetto voluto. Il disegno veniva poi ripassato, o meglio inciso, con il bulino (ma anche altri strumenti) in modo che il rame venisse inciso. Asportati trucioli e ripulita la lastra dalla pece, si passava all'inchiostrazione della lastra con un tampone, quindi, tolto l'inchiostro in eccedenza, si posava sulla lastra il foglio di carta inumidito e un panno appositamente preparato. Il tutto veniva passato al torchio calcografico (assai diverso da quello tipografico: due rulli sovrapposti tra i quali viene fatta passare la matrice protetta da un feltro). [Vedi fig. 3].

 Figura                             3
Fig. 3

 

Figura 4
Fig. 4

 

 

 

 

Acquaforte. Fra le tecniche di stampa calcografica con matrice di metallo fu molto utilizzata, soprattutto dalla fine del Seicento, la cosiddetta “acquaforte”. Il principio dell'acquaforte si basava sul potere protettivo della vernice (cera nera) e su quello corrosivo di un mordente (acido nitrico). La matrice di rame (ma anche di zinco) veniva ricoperta di cera nera sulla quale veniva disegnata l'immagine, quindi incisa secondo varie tecniche (a bulino o a puntini) in maniera da scoprire il rame. A lavoro ultimato vi si versava sopra l' acquaforte , cioè l'acido nitrico con acqua, perché si corrodessero le parti scoperte dall'incisione. La lastra, pulita dall'acido e dalla cera risultava pronta per la stampa come una normale calcografia. L'intervento successivo su una stessa matrice permetteva successive inchiostrazioni con il prevalere di diversi colori, perciò l'acquaforte si prestava meglio dell'incisione a bulino alla stampa a colori.

Le illustrazioni colorate, utilizzate soprattutto nelle opere botaniche, potevano essere ottenute anche passando lo stesso foglio più volte al torchio calcografico su diverse matrici incise diversamente e inchiostrate ognuna con un differente colore. Le stampe calcografiche ad acquaforte venivano comunque spesso ritoccate e colorate a mano (Vedi: Gallesio, Pomona , fig. 5).

 Figura                             5
Fig. 5

Mezzatinta . Inventata in Germania nella seconda metà del Seicento, la mezzatinta utilizzava una lastra in rame resa scabra con la mezzaluna in modo che, se inchiostrata, ne risultasse una prova completamente nera. Il ferro della mezzaluna consisteva di numerosi piccoli denti che lasciavano dei segni a zig-zag sulla tavola.L'incisore procedeva quindi a diminuire l'intensità del nero dove voleva ottenere zone più chiare, togliendo la scabrosita con un raschietto. Si lavorava quindi passando dallo scuro al chiaro. Era un procedimento molto laborioso in quanto lo strumento doveva essere passato molte volte in ogni direzione. Quando la lastra era stata lavorata a sufficienza, vi si trasferiva il disegno al rovescio per mezzo di un raschietto. Con questo metodo la lastra si usurava ogni volta che veniva messa sotto il torchio tanto che non esistono due prove identiche. Le tavole a mezzatinta erano spesso stampate a colori.

Acquatinta. Come per l'acquaforte a fondo puntinato, così nell'acquatinta la tecnica di incisione viene effettuata con strumenti che producono piccoli, o più grandi punti, sulla lastra. Nell'acquatinta però la lastra viene immersa nell'acido più volte e quindi ricoperta da una vernice non porosa nell'area che deve risultare più scura. Nelle aree che devono risultare bianche la vernice non porosa viene applicata sin dall'inizio. Il metodo, che si presta bene alla colorazione a diverse tinte, produce effetti morbidi e mezzi toni. La lastra però si consuma e deve essere spesso ritoccata, producendo diverse impressioni.

 

 

 

Litografia. Questa tecnica, nata verso la fine del Settecento, si serviva come matrice di una pietra a base di carbonato di calcio sulla quale il disegnatore in prima persona riportava il soggetto da stampare, senza incisione ma in piano, servendosi di pastelli a inchiostro grasso. La matrice viene quindi fissata e inchiostrata al torchio litografico (composto da un rigido piano di metallo, “carrello”, che poggia e scorre su un grosso rullo portante; la pressione sulla matrice e il foglio, opportunamente protetti da un foglio di ottone, “timpano”, viene esercitata da un pettine o “rastrello” che rimane fisso mentre il carrello con la matrice scorre al di sotto). [ Vedi fig. 6]

 Figura                                 6
Fig. 6

 

Gli Erbari

L'erbario è una raccolta di descrizioni di "piante utili". Primi disegni di fiori erano quasi sempre di sostegno a medici ed erboristi. Già 2000 anni fa il realismo raggiunto nelle raffigurazioni di piante era di alto livello. Nel corso del medio evo, da quel livello si passò gradualmente all'inintellegibilità del disegno e alla stilizzazione delle figure che divennero un mero abbellimento del testo e si registrò così un deciso declino del naturalismo nell'illustrazione botanica che proseguì senza interruzioni fino quasi agli inizi del XVi sec. Gli erbari, astratti e sempre più stilizzati a causa del processo di copiatura e ricopiatura dei modelli antichi, si allontanarono sempre più dal loro scopo originario, aiutare il medico o l'erborista a identificare le piante. In questo processo ebbe anche qualche incidenza la concezione magica propria degli uomini medievali (e non solo) che attribuiva alle piante virtù particolari favorendo tanto credenze nelle raffigurazioni "immaginarie" quanto il disinteresse per una rappresentazione strettamente naturalistica (Cfr.: Medicinalia quam plurima , definito "erbario alchemico", confezionato in ambiente ligure verso 1506; MS. F.VI.4 [Vedi fig. 7].

Figura                             7


Fig. 7

 

 

 

 

 

Si è detto che l'illustrazione botanica è nata assai prima della codificazione della disciplina "botanica" a se stante e fu soprattutto utilizzata da medici, o medicastri, e speziali. A Genova è testimoniata l'esistenza dell' ars speciarie già a partire dal 1272. Tra Duecento e Trecento si collocano due famosi medici speziali: Simone Cordo e Simone da Genova. Le prime codifiche dell'arte si hanno nel 1499 e nel 1471 (Cfr. g li studi di Grazia Benvenuto) con la stesura dei primi statuti. Nel 1506 i consoli e i consiglieri, insieme ad otto membri del potente Collegio dei Medici, si riunirono per fissare la ricetta della Triaca magna Galeni e del Mitridatum Magnum i due principali rimedi dell'epoca, a base di estratti di origine vegetale. Gli speziali tenevano nelle loro botteghe erbari figurati come l' Herbarum imagines vivae (Francofurti, Egenophus, 1536), come dimostra l'esemplare posseduto a Giacomo de Spineta "aromatario al Molo" (Rari I.I.6) [ Vedi fig.8].

Figura 8


Fig. 8

I bordi dei manoscritti francesi/borgognoni dell'inizio e della metà del XV secolo venivano arricchiti di fiori che, sebbene in funzione meramente decorativa e di ingentilimento della pagina, avevano qualche pretesa di accuratezza botanica. In diversi manoscritti di area borgognona si possono trovare rappresentazioni realistiche e accurate di fiori e insetti, ma ciò avveniva in casi eccezionali perché il gusto del tempo favoriva la convenzionale pittura di foglie di edera e fiori stilizzati. Nel manoscritto Historia Alessandri Magni di Curzio Rufo, con l'interpretazione dell'umanista porteghese Vasco de Lucena (Ms. E.IX.2), fa parte di questa categoria di codici, appartenuto alla famiglia piemontese dei Solari del Borgo, fu composto tra il 1470 e il 1475. La prevalenza di raffigurazioni di genere guerresco ha indotto gli studiosi a individuare il miniatore nella cerchia di Loyset di Hesdin, celebre miniatore fiammingo interprete dei costumi e delle armi della corte borgognona e specializzato nell'esecuzione di codici di carattere storico.

Con il Rinascimento si registrò una decisa riscoperta del naturalismo e un significativo mutamento di concezione. Dal giardino chiuso medievale, hortus conclusus , con la sua enfasi su erbe, frutti e vegetali si passò al giardino formale con trionfi di fiori (garofani e peonie, amaranti, gladioli e gigli) e intricati parterres, favoriti dai gusti di re e nobili e dall'affermazione delle grandi dimore "aristocratiche": l'estetica del bello si sostituì all'estetica dell'utile. Nel contempo si registrò la fondazione di orti botanici, spesso legati a esigenze di studio in collegamento con le università: Pisa (1543), Padova (1545), Firenze (1545), Bologna (1567), Leida (1594). Qui si sviluppò la coltivazione di specie particolarmente rare ed esotiche, provenienti da altri paesi e continenti.

L'uso della descrizione verbale, più che le vivide illustrazioni, fu visto come un principio di obiettività scientifica durante il XX secolo: grandi e importanti volumi (già con Linneo, ma il fenomeno si afferma soprattutto alla fine dell'800) sono spogli di qualsiasi illustrazione e vi predomina il testo descrittivo. Nel ' 900 prevalgono ovviamente le riproduzioni fotografiche e, in alcuni casi, al microscopio.

L'arte dell'illustrazione delle piante maturò, si è detto intorno al 1400: Dioscoride, De materia medica [3.UU.V.22] è un trattato di farmacologia (facoltà curative di piante, animali, gemme, ecc.) che esercitò grandissima influenza sulla farmaceutica e sulla medicina sino ai tempi moderni. Le prime edizioni di Dioscoride ebbero, sotto l'influenza dei trattati manoscritti riccamente illustrati, più parti illustrate[ Vedi . fig. 9]., l'edizione posseduta dalla biblioteca è invece un'edizione della prima metà del Cinquecento e conferma il prevalere dell'opera sull'illustrazione.

  Figura                                 9
Fig. 9

Forme di rappresentazione cruda e non finita persistettero a lungo e ancora diversi volumi del ' 600 sono di poco migliori degli erbari di due secoli prima. Per molto in Europa continentale non si produsse niente di nuovo. Nei primi decenni della scoperta della stampa la produzione di illustrazione botanica si orientò verso la manifattura di erbari, rivitalizzando e sostituendo la vecchia fattura di manoscritti.

Peter Schöffer nel 1484 diede alle stampe un erbario latino. L'anno successivo (1485) fu la volta di un erbario tedesco, il solo incunabolo botanico di qualche importanza: la supremazia delle raffigurazioni (silografie) rimase intaccata per circa mezzo secolo. Il suo testo è basato su compilazione di precedenti manoscritti. libro di rimedi semplici per gente semplice. Le figure sono raffigurate in maniera simmetrica, con una concretezza di proporzioni raramente raggiunta (è il caso ad esempio dell' iris pseudacorus ); fiori di grandezza esagerata, radici, quando esistono, convenzionali (Rari C.I28). Ciò a dimostrare bene la credulità e l'influenza immaginativa dei primi erboristi.

Esempio di colorazione successiva alla stampa è l' Herbarum imagines vivae oder Kreuter lebliche conterfeytunge , edito da Christianus Egenolff (1535-1537) [Rari I.I.16], già incontrato poiché porta l' ex libris di uno speziale genovese.

La botanica fece il passo decisivo con la pubblicazione di Brunfels, Herbarum vivae eicones , che nel 1530, data della 1^ edizione, seguita subito da numerose altre, segnò un momento di frattura nel modo di raffigurare piante ed erbe; i successivi 30 anni dell'illustrazione botanica furono di ristagno.

Otto Brunfels derivò il suo testo da inaccurate e inattendibili fonti tradizionali. Il merito del libro sta non nel testo ma nelle illustrazioni preparate dal vivo da Hanz Weiditz, formato alla scuola di Durer, maestro nelle illustrazioni biologiche. Piante disegnate dal vero: l'approccio "fresco" si basò sulla registrazione di un singolo esempio, come tutti i primi illustratori, egli non si preoccupò di definire l'essenza di specie studiando più esemplari per fornire le caratteristiche comuni. Brunfels parlava già al suo tempo di "declinante botanica" (3.UU.V.58).

Benché le illustrazioni risultino più importanti della parte scritta anche nell'eccezionale De historia stirpium di Leonhart Fuchs (3.V.IX.39), questi portò il testo del libro di botanica, basato sulla riproposizione di Dioscoride, a una elevata dignità. Egli fu anche per diverso tempo il solo autore a preoccuparsi di lavorare con gli artisti e gli incisori migliori che poteva trovare. Prese Albrecht Meyer per disegnare sotto il suo diretto controllo insistendo sul fatto che particolare attenzione doveva essere messa nell'accuratezza del tratto e del dettaglio botanico, eliminando le tecniche di ombreggiatura e sfumatura.

I disegni basati sulle tavole di Fuchs incontreranno una grande fortuna e saranno utilizzati da altri scrittori in un numero incredibile di pubblicazioni botaniche dei secoli XVI e XVII e perfino nel '700, quando Salomon Schinz le adopererà per l'ultima volta nel 1774 (per le Anleitung zu der Pflanzenkenntniss ). ciò derivava da alcune peculiarità proprie dell'opera di Fuchs: la sua superiorità sulle opere precedenti, compreso l' Herbarum vivae ,; le splendide pagine in folio, l'alta qualità della carta utilizzata, il disegno spazioso, la raffinatezza della stampa e l'incredibile numero di figure utilizzate (doppie rispetto a Brunfels). Le incisioni su legno occupano l'intera pagina, spesso erano colorate. Il disegno è basato sull'analisi delle piante vive, come si è detto, descritte quindi con una particolare cura; gli esemplari sono disegnati con proprie radici, fusti, foglie, fiori, semi, frutti. Nonostante l'aderenza al reale la rigidità del tratto è ancora molto presente. La tendenza degli artisti utilizzati da Fuchs ad idealizzare le piante unita alla sua cura nell'evitare le peculiarità accidentali di un esemplare specifico, rende il tentativo di Fuchs come tendente al disegnare i caratteri della specie, pur nell'arcaismo del trattamento degli alberi (chiome rettangolarizzate o curvate per rispondere allo spazio disponibile nella pagina) [Vedi figg.10 e 11].

Figura 10

Fig. 10

Figura                                 11
Fig. 11

 

Nel XV e nel XVI secolo l'Italia giocò un ruolo essenziale nella diffusione delle conoscenze botaniche: noti in tutto il mondo conosciuto furono gli erboristi veneziani; e fondamentale fu la stampa, concentrata a Venezia, dei classici latini Plinio, Dioscoride e Teofrasto. L'arte della stampa italiana contribuì però in maniera irrilevante nel campo dell'illustrazione botanica, tanto che la grande opera di Mattioli fu stampata fuori del territorio italiano.

Così benché siano presenti autori di rilievo, quali Durante e Alpino, poco essi aggiungono allo sviluppo dell'illustrazione botanica, rimanendo entro gli schemi di riproduzione fissati da Brunfels e Fuchs.

Pierandrea Mattioli, figlio di un medico senese che aveva lasciato la sua città per esercitare a Venezia, compì gli studi a Padova e a Venezia. Esercitò a Siena e poi a Roma ove rimase sino al 1527, l'anno del sacco. La prima edizione illustrata della sua opera è del 1544, con 562 piccole silografie, più volte ristampata per non meno di 45 edizioni (si calcola che ne siano state vendute 32.000 copie). Raggiunse così la fama e nel 1555 fu chiamato a Praga dall'imperatore Ferdinando I perché curasse il figlio. A Praga si fermò per oltre 30 anni come medico e lì pubblicò la grande edizione in folio dei Commentari con grandi illustrazioni e il testo in boemo. Tra il 1562 e il 1604 seguirono 7 edizioni in tedesco, latino e italiano pubblicate in vari formati. Nel 1568 vennero aggiunte nuove e grandi figure di considerevole interesse [3.K.IX.22-23]. Gli artisti mobilitati per l'edizione originale furono Giorgio Liberale da Udine e il tedesco Wolfgang Mayerpeck. [Vedi fig. 12]

Figura 12


                Fig.12

Le figure utilizzate da Mattioli risultano più nette e imponenti e i dettagli sono raffigurati con grande cura e abilità. Tra le più belle raffigurazioni risaltano quelle degli alberi (in particolare le conifere). Per l'alta qualità raggiunta, le illustrazioni di Mattioli segnarono l'inizio del declino dell'illustrazione su legno, ormai superata da quella su rame. Comunque le raffigurazioni non sempre possono definirsi affidabili poichè si basavano su esemplari secchi e imprecisi.

I legni del Mattioli furono per alcuni anni dati per dispersi sino a che Duhamel de Monceau non li ritrovò e ne riutilizzò alcuni, con risultati eccellenti, per il suo Traité des arbres (1755), opera che segnò definitivamente la fine dell'illustrazione botanica su legno. Gli altri legni non utilizzati da Duhamel de Monceau restarono nel suo castello fino al 1956 quando furono messi in vendita e andarono dispersi. [Vedi figg. 13 e 14].

Figura 14 
Fig. 14

 Figura                                 13
Fig. 13

 

Castore Durante studiò nell'Archiginnasio della Sapienza; qui pubblicò nel 1585 il suo Erbario nuovo [3.U.IX.10]. Nello stesso anno fu nominato medico del papa Sisto V. L' Herbario tratta delle piante medicinali d'Europa orientale e occidentale e godette di grande popolarità per il suo fascino peculiare più che per i meriti botanici. Ciascun capitolo (almento mille) è sormontato da una piccola silografia di appena 7,5x 5 cm di Isabella Parasole, disegnatrice che alternava ai plagi copiati dal Fuchs e da Mattioli a “capricci” di sua invenzione [vedi fig. 15].

Insieme a Mattioli e Durante, l'opera di Prospero Alpino, o Alpinus (1553-1617), è tra le più rinomate fra quelle italiane del ‘ 500. Come tanti altri botanici, studiò e praticò la medicina, anche se il suo interesse più forte era rivolto alle piante, soprattutto quelle medicinali. Viaggiò molto e soggiornò per lungo tempo in Oriente, nelle isole greche, in Candia e soprattutto in Egitto (Il Cairo, Nilo, Alessandria), al quale dedicò importantissimi studi. Per qualche tempo, dopo il 1586, si stabilì anche a Genova, al servizio dei Doria di Melfi, prima di fermarsi a Padova, ove si occupò dell'orto botanico, che grazie a lui assurgerà a fama europea. Il volume De plantis exoticis [3.UU.II.48]è opera postuma di Prospero Alpino, edita a cura del figlio Alpini Alpino. In essa vi si trova la descrizione e l'illustrazione di un gran numero di nuove specie esotiche che l'autore coltivava nel giardino di Padova giuntegli dall'isola di creta e dal Cairo [vedi fig. 16].

 

 Figura                                 15
Fig. 15

 Figura                                 16
Fig. 16

Dopo il ‘ 500 un ruolo fondamentale per il progredire della botanica ebbero le esplorazioni geografiche: la scoperta di nuove terre e la colonizzazione dell'Africa, dell'Asia e delle Americhe portò ad un fiorire prodigioso di esplorazioni per lo studio della flora. Molte opere videro la luce in seguito a queste spedizioni “scientifiche”, fra queste le Icones stirpium, seu plantarum tam exoticarum, quam indigenarum stampata ad Anversa dai Plantin nel 1591 [Atrio rari A 20; vedi fig. 17].

Rembert Dodoens (1517-1585), botanico olandese, medico degli imperatori Massimiliano II e Rodolfo II, professore dell'università di Leida negli ultimi anni della sua vita, è noto per importanti lavori di medicina e di botanica che incontrarono una vasta eco. Fra le sue opere fu assai importante Florum, et coronariarum … herbarum historia , stampata anch'essa dai Plantin ad Anversa, in Biblioteca si possiede l'edizione del 1569 [3.VV.VI.15(1); vedi figg. 17 e 18].

Figura 17
Fig. 17

Figura                                 18
Fig. 18

Tutti insieme i tre grandi botanici fiamminghi del tempo, Obel, L'Ecluse (del quale parleremo oltre) e Dodoens, con il tedesco Willelm Piso, lavorarono fianco a fianco nella produzione di erbari e costituirono un gruppo di lavoro “virtuale” per il tipografo Plantin dai torchi del quale uscirono una importantissima serie di libri di botanica e erbari .

Charles de l'Ecluse (o Carolus Clusius, 1526-1609), ugonotto e naturalista dalle eccezionali conoscenze (praticava il greco, il latino, l'italiano, lo spagnolo, il portoghese, il francese, l'olandese, il tedesco; aveva studiato legge, filosofia, storia, cartografia, zoologia, mineralogia, numismatica ed epigrafia) fu botanico e viaggiatore in tutta Europa. In una spedizione in Spagna e Portogallo scoprì oltre 200 nuove specie di piante. Il frutto di quelle sue fatiche confluì nel 1576 nella pubblicazione delle Rariorum aliquot stirpium per Hispanias . Le sue peregrinazioni europee diedero origine alla pubblicazione della Rariorum plantarum historia (Anversa, Plantin, 1601; 3.VV.V.36) in cui riordinò tutte le sue conoscenze botaniche. Osservò nuove piante come la dracena, la palma delle Canarie. Il suo fu un lavoro pratico e descrittivo ancora oggi di altissimo valore per le capacità di cogliere l'essenziale specificità delle piante e per l'accuratezza della loro descrizione. I suoi lavori, alcuni pioneristici come la sua storia dei funghi del 1601, costituirono il punto di partenza della conoscenza moderna per molti generi di piante. La descrizione in lui è strettamente connessa all'illustrazione. Entusiasta coltivatore di piante esotiche, provenienti dalla Turchia e dal Levante, arricchì di rarità i giardini del ‘ 600 europeo. Ebbe un ruolo fondamentale nell'introduzione della coltivazione della patata e del tulipano in Olanda [Vedi fig. 19].

Figura                                 19 
Fig. 19

Kaspar Bauhin nel suo Prodromus theatri botanici , edito a Basilea nel 1671, incluse ben 600 specie di piante, Brunfels ne aveva descritto 260, e illustrò la sua opera con 138 tavole incise in legno (3.ZZ.I.1(2)].

Finissima fu l'opera di Caspar Commelin, Horti medici (1697-1701; 3.ZZVIII.30) in cui si può ammirare un sontuoso frontespizio e numerose incisioni dipinte a mano. L'opera del direttore dei giardini di Amsterdam riflette non solo gli aspetti medico-farmacologici delle piante , ma anche la curiosità degli olandesi per la flora dei loro possedimenti coloniali [Vedi figg.20-21].

Figura                                 20 
Fig. 20

Figura                                 21
Fig. 21

Sybilla Merian la più celebre e raffinata delle donne impiegate nel lavoro di delineazione e disegno di tavole per uso botanico, nel luglio 1699 intraprese un viaggio in Sudamerica e si fermò in Suriname dove studiò approfonditamente fiori, piante e insetti. Tali studi confluirono nel magnifico volume, edito nel 1705: i disegni sono realizzati con grande delicatezza anche se la riuscita migliore riguarda più gli insetti che i fiori [Atlanti D.II.9; vedi figg. 22 e 23 (in una riproduzione colorata)].

Figura                                 22 
Fig. 22

Figura                                 23 
Fig. 23

L' Hortus indicus di Rheese tot Drakestein , composto da 12 volumi in folio (Atrio Rari D.11(1-2)), costituisce uno dei più celebrati libri prelinneiani. Fondamentale contributo alla conoscenza botanica ed etno-botanica dell'India meridionale, raggruppa oltre 790 incisioni. Egli ricoprì per qualche tempo l'incarico di Commander nella colonia olandese di Malabar e utilizzò una serie di agenti locali per collezionare piante. Le incisioni sono molto decorative e brillanti con una severità ben compensata dall'eccezionale qualità calligrafica [Vedi fig. 24].

Figura 24
Fig. 24

 

È nota l'opera di sistematizzazione tassonomica della descrizione dei generi delle specie botaniche dovuta a Linneo. Nel suo lavoro si vede il prevalere dell'interesse per la parte descrittiva scritta. Con Linneo si afferma la concezione secondo la quale il testo è sinonimo di serietà e affidabilità scientifica, contro la “barocca” descrizione visiva per immagini. Non stupisce quindi la povertà di illustrazioni nelle sue opere, ridotte a secchezza di tratto e ad un'essenzialità assoluta. Lo stesso rifiuto si nota nei volumi del periodico tedesco “Archiv für dí Botanik”, edito tra il ‘ 700 e l'800 [3.ZZ.I4-5].

Tra il 1780 e il 1795 Pierre Builliard pubblicò l' Herbier de la France in 12 volumi: splendido e attraente lavoro illustrato con accuratissime e delicate incisioni colorate, molte delle quali furono stampate facendo passare i fogli di carta sotto il torchio più volte, una per ciascun colore usato, tecnica raramente usata nei libri di botanica [Vedi fig. 25].

Figura                                 25
Fig. 25

 

Il più famoso artista botanico tra ‘700 e ‘800 fu certamente Pierre Joseph Redouté (1759-1840), belga formatosi a Parigi. Sue prime illustrazioni si trovano nelle Stirpes novae di L' Heritier de Brutelle, in cui alcune tavole furono stampate a colori. Protegé di Josephine e Napoleone, continuò il suo lavoro producendo alcune delle più sbalorditive e sorprendenti immagini di botanica per autori come L'Heritier de Brutelle ( Sertum anglicum , 1788; Atlanti D.II.5), la Billardière ( Icones plantarum Syriae , edito tra il 1791 e il 1812; 3.SS.I.90) e De Fontaines ( Flora atlantica , 1800; 3.UU.V.26-29) [Vedi fig. 26 (relativa al Sertum )]

Figura 20


Fig. 26

 

Enorme fu la produzione botanica del medico Pierre Joseph Buchoz (1731-1807). In essa tuttavia non si riscontra molto di originale anche se le illustrazioni sono di altissima qualità decorativa e iconografica. Le incisioni colorate più interessanti si trovano nella Collection precieuse et enluminée des fleurs (1776) dove si può vedere una delle caratteristiche di Buchoz, cioè l'aver fatto per la prima volta in Europa un considerevole uso di incisioni di piante orientali, particolarmente cinesi, eseguite da artisti indigeni [3.X.IX.16(1-2); vedi figg. 27-28]

Figura                                 27
Fig. 27

Figura                                 28
Fig. 28



Il fiorentino Gaetano Savi (1759-1844), che tra il 1789 e il 1795 viaggiò in Toscana per raccogliere piante e osservazioni di storia naturale, fu professore all'Università di Pisa e assunse nel 1814 la direzione del giardino botanico portandolo a un notevole sviluppo. Autore di un'importante opera che fonde scientificità e gusto estetico, Savi, sull'esempio dei più diffusi giornali di botanica inglesi, il “Botanist's Repository” di Henry C. Andrews e il “Botanical Magazine” di William Curtis, si propose espressamente di raccogliere una “collezione di piante raccomandabili per la bellezza”, mettendo insieme tra il 1818 e il 1824, 3 volumi con 120 tavole di piante “tra le più belle che si coltivano ne' giardini d'Italia”, opera del disegnatore e incisore Antonio Serantoni [Atrio rari D.16(1-3); Vedi fig. 29]

Figura 29
Fig. 29


L'ammirato esempio dei periodici inglesi fu seguito anche in Francia. La raccolta Flores de serres et jardins d'Angleterre , edita in 6 volumi tra il 1834 e il 1838 (3.V.VIII.49-54) sotto la direzione del naturalista belga Pierre Auguste Joseph Drapiez (1778-1852), raccoglie 202 tavole litografate colorate a mano, riprese e sistematicamente copiate dai volumi inglesi riproposti ad un più vasto pubblico. Drapiez utilizzò materiale illustrato oltre che dai periodici già ricordati, dal terzo maggior periodico inglese tra il ‘ 700 e l'800, “The botanical register, consisting of coloured figures of exotic plants, cultivated in British gardens” edito da Sydenham Edwards a partire dal 1815 e continuato sino al 1840.

I periodici inglesi di botanica costituirono dunque un costante riferimento e modello al quale si rivolsero da tutta Europa chi si occupava, professionalmente o amatorialmente, di botanica. Vediamo dunque più da vicino un esempio di queste pubblicazioni periodiche, “The botanist's Repository, for new, and rare plants” edita a Londra per la cura di Henry C. Andrews dal 1797 al 1814 in 10 volumi, in cui le piante venivano presentate secondo la classificazione sessuale di Linneo. I 10 volumi contengono 664 incisioni colorate a mano. L'opera, come si spiegava nella prefazione, voleva costituire una “miniera di informazioni del botanico, solo per le piante nuove e rare … e intende[va] presentare le figure a colori di ogni pianta, cosa che non è stata finora offerta al pubblico in nessuna simile pubblicazione”. Da questo punto di vista, l'accento posto sulla rarità e bellezza dei fiori, il “ Botanist's repository” superò addirittura il suo già affermato rivale “Botanical magazine” di Curtis. Le magnifiche e impressionanti illustrazioni di Andrews sono indubbiamente le migliori rappresentazioni di piante e di fiori dell'Inghilterra dei primi decenni dell'800 e dimostrano un tratto peculiare che le rendono subito distinguibili, per la stilizzazione e per il contrasto dei colori usati. Poco si sa della vita di Andrews, colo che lavorò tra il 1794 e il 1830, di precaria formazione scolastica e botanico scientificamente modesto. Accompagnata da una descrizione in latino (per i dati principali) e in inglese, ogni tavola, oltre all'intera pianta, presenta sezioni di fiori, dei boccioli, degli stami, ecc. [3.UU.I.62-69; vedi figg. 30-31 ]

Figura                                 30
Fig. 30

Figura                                 31
Fig. 31


La fortuna delle pubblicazioni periodiche inglesi è facilmente spiegabile da un punto di vista sociale: la botanica, all'inizio dell'800, era diventata un fenomeno popolarissimo e la stessa capacità di disegnare fiori (insieme con la pittura di acquarelli) divenne una delle occupazioni che le persone “educate” e soprattutto le giovani donne alla moda dovevano obbligatoriamente conoscere. Ciò creò una notevole domanda di manuali per insegnare a dipingere non scientificamente fiori e piante e favorì l'esplosione di numerosi periodici, dei quali molti si dimostrarono effimeri ma alcuni ebbero una lunga e utile esistenza.

Un'altra nota opera italiana illustrata di alberi da frutta è la Pomona italiana ossia trattato degli alberi fruttiferi , edita in due volumi a Pisa tra il 1817 e il 1839. I volumi raccolgono 170 tavole che costituiscono un esempio eccezionale e isolato nel panorama italiano dell'illustrazione botanica. Le splendide tavole a colori sono incise in rame a fondo puntinato, una tecnica, come si è detto, vicina a quella dell'acquaforte [Atrio Rari D 15(1-2)]. Coordinanta da Giorgio Gallesio la Pomona costituì un progetto ambiziosissimo che insieme alla competenza botanica richiedeva grande maestria grafica e solidità editoriale a causa degli alti oneri finanziari della stampa. L'opera è un catalogo illustrato delle varietà frutticole nazionali e mostra in modo esemplare una delle caratteristiche dei volumi illustrati di botanica: il coinvolgimento cioè di molte energie e persone in un complesso lavoro d'insieme. Per redigere e stampare 170 tavole, Gallesio infatti coordinò non meno di trenta persone tra incisori e disegnatori, tra i quali si trova uno dei migliori calcografi e incisori italiani della metà dell'800, Antonio Serantoni, che aveva inciso pure le tavole di Gaetano Savi. [Vedi figg. 32-33].

 

Figura                                 32
Fig. 32

Figura                                 33
Fig. 33



 

Con l'800 il disegno litografato divenne un'arte propria. Splendido ed eccezionale esempio di litografia a colori (i repertori di libri di botanica, come il Nissen, indicano solo edizioni non colorate) sono le 16 tavole che accompagnano il volume di Jean Pierre Vaucher (1763-1841), Monographie des orobanches , Génève-Paris 1827, pianta parassitaria dell'ordine delle tubiflore, con fiori solitari o a spiga [3.ZZ.VIII.4; Vedi fig.34].

Figura                                 34
Fig. 34

Chiudiamo il panorama, peraltro parziale, delle opere illustrate di botanica della Biblioteca Universitaria di Genova con un personaggio che abbiamo volutamente tenuto per ultimo: il grande scienziato e botanico Domenico Viviani, vissuto tra il 1772 e il 1840. Originario dello Spezzino, la sua formazione scolastica si svolse a Levanto e quindi a Siena, dove intraprese gli studi superiori dandosi alla medicina. Dopo la laurea a Roma, tornò a Levanto ma qui abbandonò la professione medica per convertirsi alla botanica. Studiò in particolare l'Appennino ligure e la Lunigiana in ripetuti viaggi naturalistici durante i quali erborizzava e studiava la flora del luogo. Il suoi quaderno manoscritto è un prezioso esempio del modo di lavorare degli scienziati ottocenteschi durante le loro peregrinazioni scientifiche: su di esso Viviani annotava appunti vari e soprattutto disegni botanici ma anche paesaggi e disegni di folklore e antropologia, dimostrando i suoi non ristretti interessi [Ms.F.VI.23]. Nel 1801 si trovava a Genova, chiamato da Giancarlo Dinegro che lo volle direttore del giardino botanico che andava sorgendo attorno alla villetta, di cui Viviani redasse un catalogo. Egli partecipava attivamente alla vita culturale della Repubblica democratica Ligure. Due anni dopo andò a ricoprire la cattedra di botanica nell'Università di Genova e assunse pure la direzione dell'orto botanico portandolo a un elevato livello. I suoi studi, oltre che sulle piante liguri, si incentrarono sulla flora italiana, su quella egiziana e libica. Sua è anche la splendida raccolta uscita in fascicoli a Genova nel 1834 I funghi d'Italia [vedi figg. 35 e 36], che contiene 60 magnifiche tavole litografate a colori [2.N.X.34-35]. Nel corso della sua vita, oltre a un erbario composto da migliaia di pezzi, Viviani mise insieme una splendida raccolta di antichi e preziosissimi volumi di botanica dei maggiori scienziati dei secoli XVI-XVII-XVIII, non meno di 2000 volumi, che nel testamento redatto nel 1839 egli destinò al re Carlo Alberto, il quale l'anno successivo li donò a sua volta alla Biblioteca Universitaria di Genova. Fatto questo che spiega la ricchezza del fondo di libri botanici della Biblioteca: molti dei volumi che abbiamo illustrato in questa occasione derivano dall'eccezionale legato di Domenico Viviani.

Figura                                 35
Fig. 35

Figura                                 36
Fig. 36