“Corriere Mercantile”  (dal 1824-1825 -)

Approfondimento storico

È il quotidiano per il quale appare più complesso predisporre una scheda analitica poiché la sua storia è aperta e in fieri. E forse perché è una storia molto scritta, elaborata, sedimentata e che, per il periodo risorgimentale, riguarda una Genova umiliata dalla Restaurazione e accorpata al Regno di Sardegna suo malgrado, ma ancora Superba per il ruolo coperto dal suo porto, dalle navigazioni mediterranee e poi transmediterranee, dai cantieri navali, dalle assicurazioni e dalle banche. Una storia che potrebbe essere vista attraverso due o tre frame: il monumento di Raffaele Rubattino, inaugurato nel 1893 in piazza Caricamento, nel cuore cittadino dei traffici  commerciali e marittimi, e firmato da Augusto Rivalta autogestione del “Mercantile” e la costituzione della  Cooperativa Giornalisti e Poligrafici, il 21 marzo 1977 - tra i protagonisti l’attuale direttore, Mimmo Angeli -, in un tempo di sboom della carta stampata ma  di lotta della categoria professionale; l’uscita in edicola della testata in tandem con “La Stampa”, nella primavera del 2000, come sua edizione locale e del mattino, dopo un accordo stretto tra la SEM e l’Editoriale La Stampa S.p.A., che ha salvato lo storico giornale dalla crisi dei quotidiani della sera e ha siglato il ritorno ad un rapporto stretto tra Piemonte e Liguria (intaccato solo dall’acquisizione del 40% della proprietà da parte della cordata genovese Malacalza-Garrone nel 2007).

Il termine a quo è costituito dal 2 gennaio 1844, quando il bisettimanale diventò quotidiano e si avviò lungo la sua stagione d’oro, tra il 1849 e il 1859 – come sottolineano sia Ratti sia Montale – , sotto la direzione del mercante-editore Pellas, dell’avvocato Giuseppe Papa e di suo figlio, l’economista liberista Giovanni Antonio Papa. E le modalità della sua fondazione negli anni intercorrenti il 1824 e il 1825, come foglio bisettimanale di prezzi e listini di generi coloniali nonché di avvisi e notizie sul movimento delle navi in porto e sul costo dei noli ne dettarono la fisionomia. Il riferimento immediato è al citato Raffaele Rubattino (1810-1881), l’armatore che sarebbe divenuto interlocutore privilegiato della testata, come rappresentante di un milieu sociale ed economico (di censo e di ricchezza) che fece capo al Casino di ricreazione costituito nel 1836 da Stefano Giustiniani e soprattutto al Comitato d’Ordine, poi Circolo Nazionale, che contava non soltanto sul marchese Giorgio Doria, ma anche su  personalità come Giacomo Filippo Penco, Giuseppe Balduino e Carlo Bombrini, rappresentanti delle “più potenti forze economiche del Regno d’Italia” e – secondo lo storico Ratti – finanziatori anch’essi del “Mercantile”. Ma soprattutto – come bene annota Elisabetta Tonizzi – Rubattino fu l’“amico degli amici”, e quindi detentore di un capitale relazionale che, dai salotti di Bianca Rebizzo e di Teresa Doria, si sviluppava anche attraverso altri giornali (che l’armatore considerava e utilizzava già come strumenti di pressione sull’opinione pubblica: da “La Borsa” alla “Nuova Antologia”, dal “Bollettino della Società geografica italiana” al “Corriere egiziano”, alla cui fondazione non apparve estraneo, a “La Stampa”, ecc. – ricordano Giorgio Doria e Paolo Piccioni - ), e comprendeva conoscenze di uomini diversamente importanti: dal direttore de “La Lega Italiana”, poi intendente generale di Genova, Domenico Buffa all’intellettuale Terenzo Mamiani della Rovere, dai marchesi Vincenzo Ricci e Lorenzo Pareto ai soci Nicolò Cambiaso e Orso e Domenico Serra, da Camillo Benso Conte di Cavour (il grande amico) ai militanti Carlo Pisacane, Goffredo Mameli e Nino Bixio, il quale gli avrebbe procurato un’indennità esorbitante per l’esproprio patriottico dei piroscafi “Piemonte” e “Lombardo” nei giorni dell’impresa dei Mille.
Ma per una vicenda così lunga l’altro richiamo va ad Ernesto Fassio, l’altro armatore che, senza facili contiguità, divideva con Rubattino, nel secondo dopoguerra, la passione per le navi, una grande capacità politica di intessere relazioni, intese come risorse ideologiche e  merce di scambio, e, non in ultimo, l’interesse per i giornali. Al centro del network - facente   capo ad un  genovese che l’inviato del “Corriere della sera”, Piero Ottone, definiva nel 1964, “ardito”, “ribelle”, “usurpatore”  negli equilibri della Superba, ancora Repubblica oligarchica, governata dalle Cento Famiglie e dal cardinale Siri - stavano il “Mercantile” che, dal dicembre 1954, Fassio aveva acquisito e gestiva con la società Portoria e il suo settimanale o settimo numero, “La Gazzetta del Lunedì” (editrice CEI). Fassio, come prima Rubattino, e con lui, il primogenito del socio della Navigazione Generale Italiana, Ignazio Florio, l’armatore siciliano editore dell’ “Ora” di Palermo, e come Ferdinando Maria Perrone, l’industriale dell’Ansaldo, aveva (ri)scoperto il valore dell’editoria di servizio. Non a caso, gli avrebbero fatto dire, in un ritratto chiuso dagli stereotipi, una frase che gli sarebbe sopravvissuta e che forse non aveva mai pronunciato: “Non mi importa delle tirature. A me del giornale basta che ci siano due copie: una sul mio tavolo e una sul tavolo del ministro della Marina Mercantile”.
A Genova,  prima con il “Corriere Mercantile” e poi più espressamente con “Il Secolo XIX”, sarebbe emerso quell’intreccio di interessi editoriali ed economici che nel tempo, in Italia come nel mondo, avrebbe condotto al fenomeno dell’editoria “impura” o di servizio, in tutte le sue declinazioni, dai bilanci passivi di società altrimenti attive agli strumenti di lobbying, dai vessilli delle aziende statali al conflitto di interessi che ha contraddistinto il ventennio berlusconiano.

 
Tra il ’44 e l’Unità d’Italia, il “Mercantile” si impose come foglio moderato, liberale, strenue difensore degli interessi dei ceti mercantili e imprenditoriali della città; per questa ragione esso costituì una tribuna d’eccellenza per leggere la cronaca della vita economica locale, le sue questioni e le sue vicende anche grazie alla collaborazione di economisti e di eminenti studiosi come Gerolamo Boccardo, Gaspare Buffa, Jacopo Virgilio, Michele Erede, che poco ebbero a che fare con il giornalismo politico-militante di stampo risorgimentale. Questa dimensione emerge chiaramente nel contesto dei rapporti esclusivi che l’armatore Raffaele Rubattino intrattenne con il giornale, rapporti che sino ad oggi, inspiegabilmente, non sono stati oggetto di un’approfondita ricognizione storica, ma che risultano del tutto evidenti sin dall’anno in cui il foglio assunse il carattere di quotidiano attraverso le grandi e puntuali inserzioni pubblicitarie dell’impresa De Luchi-Rubattino e C. di Genova.
D’altro canto il “Mercantile” proprio per questa vocazione economica, marittima e commerciale si differenziò dalla stampa di quel tempo, estraniandosi dai coinvolgimenti patriottici della “missione”, pur senza  rivestire l’ambiguo ruolo dello spettatore passivo a fronte di eventi tanto importanti per i destini del Paese. A questo proposito, sebbene non  nascondesse i timori per possibili rovesci militari, né ignorasse i problemi che Garibaldi  avrebbe creato al governo del Regno di Sardegna, la testata  sostenne sin da subito l’impresa dei Mille, ritenendo che nel momento dell’azione bisognasse lasciare da parte tutte le perplessità e schierarsi senza indugio con le Camicie rosse. Questa, del resto, era la posizione di buona parte dell’opinione pubblica costituzionale, in costante polemica con quella reazionaria e clericale arroccata pregiudizialmente a difesa dell’ordine esistente (11-12 maggio 1860).
Viceversa risultava emblematica la ferma condanna espressa dal “Mercantile” nei confronti della spedizione di Carlo Pisacane, sia perché la nave “Cagliari”, dirottata lungo il tragitto Genova-Tunisi, era di proprietà di Rubattino, sia perché in questo caso i patrioti esprimevano posizioni repubblicane e socialiste in cui il quotidiano in nessun modo si riconosceva. Già i primi commenti, che accompagnavano notizie ancora frammentarie, non lasciavano comunque dubbi in proposito: “sempre così; cospirazione e non rivoluzione; comitati e non popolo; artifizio di setta e non moto di massa; piccole organizzazioni di forza materiale, non effetto generale di pubblico convincimento ed entusiasmo; parola d’ordine di pochi, non voce popolare; volontà e cenno individuale, non dei tempi e delle cose” (3 luglio 1857).
Per il “Mercantile”, insomma, il Risorgimento per essere ben accetto avrebbe dovuti ridursi, gramscianamente, a semplice ricambio di classe dirigente, senza intaccare in alcun modo la struttura economica e sociale del Paese. Sembra di avvertire quasi la eco delle rilettura viscontiana del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi…”

(Ratti 1973; Castronovo 1991; Della Peruta 2011; Montale 1999; Codignola  1938; Doria 1990; Piccioni 2010; Tonizzi 2011; Ottone 1964; Freschi 2005; 2006)

Cfr. “Il Censore”; "La Stampa"; “Il Movimento”, ecc.