Approfondimento storico
Secondo gli storici della stampa mazziniana e risorgimentale, Genova non ebbe una testata vicina all’Esule e propriamente ispirata alla sua dottrina, dopo “L’Indicatore genovese”. Della Peruta ricorda le esperienze de “La Bandiera del popolo”, de “Il Tribuno”, de “L’Italia” e de “L’Italia Libera” come elementi preparatori e forse propulsori, ma segnati da problemi editoriali, nonché da lunghe sequele di sequestri, condanne e attacchi mossi dal governo. Anche “La Strega”-“La Maga”-“La Vespa”, periodici efficaci nel sostegno della stampa democratica, non ressero all’urto di un’instabilità strutturale e di una lotta impari con il governo, il tribunale e il fisco.
“L’Italia e Popolo” visse un altro tempo. Fu Giuseppe Mazzini a volerlo fortemente, a sostenerlo finanziariamente o ad assicurarne i bilanci d’azienda, a indirizzarne articoli, a farne il proprio “segnacolo” e ad invitare “tutti” a “concentrarsi” per fare un giornale in grado di onorare Genova e la Democrazia”: “E’ un vero dovere stare sulla breccia - avrebbe scritto l’Esule al fidato Piero Cironi, direttore morale del foglio e forse autore degli articoli di fondo nei primi anni, osserva Ravenna – Bisognerà predicare argomenti e verità ch’esigono mente e core. Un giornale che continuamente dia la nostra ispirazione al Partito è cosa preziosa”.
E “L’Italia e il popolo” fu quotidiano rivoluzionario il cui fine definito – come professò il consiglio di Direzione sul primo numero – era provocare, con la propria “voce”, “la gran lotta da cui [doveva]sorgere Italia, indipendente, libera, una” (22 maggio e 22 settembre 1851). Oltre agli uomini di quel comitato, Mazzini contava anche sugli esuli politici: Francesco Dall’Ongaro, Filippo De Boni e anche Gustavo Modena, e sui “migliori dei suoi seguaci” dal Saffi al Mario, al Cironi, al Campanella, al Quadrio, appunto” – come segnalano Balestreri e Montale, circa la presenza di emigrati e patrioti, soprattutto veneti, nel giornalismo risorgimentale genovese, nonché dei nomi di maggior spicco del repubblicanesimo italiano, e come rivelò lo stesso quotidiano con le sue prese di posizione (17 settembre 1851; 8 luglio 1852; 12 marzo 1853; 7 dicembre 1854) – .
“Italia e Popolo” apparve subito come giornale moderno. Era corredato di una rubrica di Notizie dall’Italia e di una di servizi dall’Estero, che si sarebbero suddivise in Notizie Italiane, Notizie Estere, Ultime Notizie, Notizie del mattino, Notizie posteriori, Fatti diversi e Dispacci Elettrici, nonché di uno spazio di cronaca parlamentare. Presentava un editoriale che, come in tutti i periodici del tempo, usciva in prima pagina per girare in seconda ed assumere la forma di diario del giorno precedente. Al “fondo” aggiungeva le rassegne dei giornali (Rivista politica nei giornali), le corrispondenze particolari, dirette e indirette, di collaboratori anonimi della testata e dell’Esule, gli scritti politici dello stesso Mazzini e di uomini come Carlo Pisacane (6 luglio 1851), Alexis De Tocqueville (12 luglio 1851), Victor Hugo (discorso pronunciato all’Assemblea Legislativa francese il 17 luglio 1851, 30 luglio e 6 ottobre 1851), Luigi Kossuth (6 ottobre e 9 ottobre 1851; 19 novembre 1852), assimilato a Mazzini per la stessa idea del risorgimento che fu capace di incarnare (20 ottobre 1851). Pubblicava anche pagine di inserzioni pubblicitarie (cfr. ad es. 24 luglio 1851) e romanzi nelle sue appendici (cfr. “I misteri di Genova”).
Sin dall’inizio delle pubblicazioni, nell’attenzione posta alla nascita della prima Società di Tiro in Genova e sul territorio nazionale (15 giugno 1851) e all’elenco dei suoi “sottoscrittori”, sotto la segreteria del futuro direttore Savi, attenzione che sarebbe rimasta costante (28 marzo 1852; 1° luglio 1853), “Italia e popolo” si pronunciò: “il ragionamento è semplicissimo […] gli avvenimenti si avvicinano, la guerra nazionale non si farà molto aspettare. Per questa guerra i governi se pur non saranno contro di noi, faranno assai poco in nostro favore […] Il Popolo italiano dovrà dunque contare sopra sé stesso: ma per combattere avrà d’uopo di armi e di uomini che sappiano usarne”, “le armi” saranno lasciate in mano a “ciascun cittadino” (18 giugno; 20 e 24 giugno 1851). L’opposizione frontale ai ministeri del regno sardo – segnalata da Della Peruta – ebbe inizio con D’Azeglio, colpevole, con la sua maggioranza, di omissione, tacendo le cause delle sventure nazionali del 1849 (21 giugno 1851), di mancanza di volontà e di capacità di intervento (14 luglio, 21 luglio 1851), e quindi per il suo “governo per lo status quo” (26 luglio 1851) e per un Piemonte che non avrebbe mai fatto la rivoluzione (16 settembre) e non avrebbe mai scelto Roma invece di Novara (22 settembre 1851).
La prima svolta fu impressa, nel febbraio 1852, dalla direzione di Francesco Bartolomeo Savi che condusse “Italia e popolo” a rinsaldare la propria fisionomia di organo mazziniano, già bersagliato dalle persecuzioni per “reati politici di stampa”: il foglio s’impose nell’ora del colpo di stato di Napoleone Bonaparte con la pubblicazione dell’ordine del giorno del Comitato Nazionale Italiano, firmato da Mazzini, Saffi e Montecchi, a confermare la fiducia nella rivoluzione del popolo italiano, armato di armi proprie e di propri sacrifici.
Altre considerazioni, altri proclami, appelli e scritti di Mazzini sarebbero stati riportati con puntualità, sebbene il Savi non ricevesse dall’Esule comprensione ed approvazione – secondo Montale –, così come si sarebbero ripetuti gli atti di difesa all’“ortodossia mazziniana” fino ad arrivare alla condanna di Manin (25 settembre 1855), alla chiusura rispetto agli elementi spuri (26 maggio 1856 e 1° ottobre 1856, 11 novembre 1856) e alle posizioni avanzate da Mauro Macchi e da Ausonio Franchi nel novembre 1856, a difesa della priorità del fatto insurrezionale rispetto all’attività di propaganda dei principi repubblicani.
La prospettiva del “giornale di partito”, pur concentrata sugli stati sardi e sulle questioni amministrative ed economiche (il decollo industriale, le strade ferrate, il nodo del porto, le questioni municipali) di Genova, si allargò via via a comprendere le notizie politiche e sociali dell’Europa e degli Stati Uniti (soprattutto attraverso la valutazione delle opinioni delle testate italiane e straniere poste in esame), in concomitanza con i discorsi di Mazzini che sovrapponevano, identificandole, la causa della libertà italiana e quella della libertà europea (23 giugno 1852 e Avviso del 30 dicembre 1852).
L’opposizione al Piemonte si acuì e contro il ministro Cavour, attaccato sulla sua politica di sviluppo economico e accusato di tessere monopoli e “intrighi egoisti” con “parecchi insaziabili gaudenti” (7 aprile 1852) e contro il governo del Conte, (“uomo di cui si diffidò”, despota assoluto, 10 aprile 1853; 7 gennaio 1854), subito bollato come gabinetto sedicente liberale, “che acquista le simpatie dell’Austria e le riceve le strette di mano dei clericali” (19 maggio 1852) e criticato per l’arroganza di volersi “costituire padrone dell’area del […]Porto, Ingegnere supremo ed infallibile, maestro di logica ed organo dell’opinione pubblica genovese con la complicità di Palazzo Tursi (6 dicembre 1852)”.
Si usarono parole di aspra critica anche verso la “maggioranza connubiata”, l’“opinione mediana”(10 dicembre 1852), individuando le responsabilità della stampa che, in gran parte, si allineò alle norme “del giusto mezzo”, e distinguendo la “missione” e i “doveri” dell’“Italia e Popolo”: “noi combattenti, poveri ed oscuri, combattenti in tempi difficilissimi, in cui la lealtà e la fermezza è rara, seguiteremo con energia sempre più crescente nella dura e santa lotta del popolo”, affinché la nostra “ultima parola suo[ni] come la prima, e [sia] una parola di libertà vera e di unità d’Italia” (3 febbraio 1853). A questa prima dichiarazione sarebbe seguita una presa di coscienza lucidissima e preveggente: “Noi non possiamo illuderci.[…] Noi rimpetto al governo non versiamo nella condizione degli altri giornali, non esclusi quelli della reazione: noi siamo posti fuori dalla legge. Le persecuzioni al libro di Mazzini non si limitano contro la protesta del grande Italiano, ma si estendono a tutte le manifestazioni di un pensiero libero, indomato; di tutto quanto insomma non è dinastia e Torino, centro sinistra e vigliaccheria” (3 maggio 1853). Nel 1853, secondo i dati della Direzione delle Poste, l’“Italia e popolo” registrò una diffusione media di quasi 1.000 copie, di cui il 90% circolava a Genova, superando “Corriere Mercantile” e “Il Cattolico”, ma non “La Maga”, più vicina ai ceti popolari.
La condanna di Cavour si definì attraverso un giudizio impietoso sul “grande ministero”: in politica interna, ad esempio per le restrizioni introdotte nello Statuto, per le sue incapacità di gestione finanziaria (9 gennaio 1854), per la legge in materia degli ordini religiosi (8 dicembre 1854) e, in politica estera, per l’intervento nella guerra di Crimea a fianco dell’esercito anglo-francese che finì per distruggere ogni ultima illusione “sull’italianità dei […]sentimenti” del governo piemontese (10 gennaio 1854, 27 febbraio 1855, 9 febbraio 1856 e 15 febbraio 1855 - lettera di Mazzini indirizzata a Cavour).
D’altra parte, Savi, lavorò su diversi fronti – come biografa Montale – , affiancando la gestione giornalistica ad un’attività cospirativa, certo nota alla polizia, e ad un’opera di coesione intorno al movimento operaio che si tradusse nella costituzione della Consociazione Operaia Genovese, come organismo di collegamento delle varie società di mutuo soccorso e primo modello di associazionismo (2 dicembre 1851; 11 luglio 1853). Gli operai diventarono il soggetto dell’azione mazziniana, quel “popolo” per il quale nulla “cade perduto” (26 marzo 1850) E, dopo il fallimento dei moti insurrezionali di Milano del gennaio 1853 (11 febbraio 1853), quando l’“Italia” temette che il Piemonte liberale e costituzionale potesse passare dalla “violazione delle leggi dell’umanità”, come quelle del diritto di asilo, a quella delle “interne guarentigie”, la preoccupazione andò alle associazione operaie, affinché si consolidassero, non con “moti incomposti”, “resistenze faziose” o “mezzi illegali”, “ma [con] una più stretta unione, un lavoro più intenso e continuo e l’ardimento della convinzione (20 marzo 1853)”.
Nonostante il suo attivismo, Savi si trovò solo con Cironi a reggere l’impresa editoriale, tra sequestri, attacchi del fisco e “persecuzioni del governo”. La crisi di Mazzini e del mazzinianesimo aggravò l’impasse interna al foglio nel febbraio del 1857 e i dissensi sorti tra Savi e lo stampatore-editore Moretti - che, secondo Della Peruta, subì pressioni dall’alto - provocarono le dimissioni dello stesso direttore (12 febbraio).
Savi, di lì a poco, avrebbe fondato “L’Italia del Popolo” e il quotidiano avrebbe cessato le pubblicazioni nel mese di maggio.
(Della Peruta 2011; Ravenna 1967; Balestreri, 1957; Neri 1917; Montale 1979, 1982; Mario 2004; Morelli 1974; Monti 1925)
Cfr. “Corriere Mercantile”; “Il Cattolico”; “La Stampa”; “Il Movimento”.
“L’Italia del Popolo” (dal 21 febbraio 1857 al 28 agosto 1858)
“Giornale Politico Quotidiano”.
Periodicità: quotidiano.
Direttore: Bartolomeo Francesco Savi; dal 3 luglio 1857 Pier Luigi Bruzzone e poi Gerolamo Remorino (che però non figurano).
Gerente: Bartolomeo Ferretti; dal 13 agosto 1857 Francesco Denegri;dal 15 marzo 1858 Giuseppe Rebora redattore responsabile; dal 20 marzo 1858 Gerolamo Marcone; dal 27 maggio Giuseppe Rebora redattore; dal 19 giugno Severino Asti redattore responsabile; dal 12 agosto 1858 Antonio Lercari gerente responsabile.
Collaboratori: Aleardo Aleardi, Federico Campanella, Piero Cironi, Filippo De Boni, Alberto Mario, Carlo Pisacane, Maurizio Quadrio, Emanuele Rossi, Pietro Sbarbaro, ecc.
Articoli in genere non firmati.
Epigrafi: Libertà.Unità.
Stabilimento tipografico: Tipografia Lavagnino, poi Stab. Tip. Nazionale.
Riferimenti bibliografici: Beccaria 1994
Approfondimento storico
Il quotidiano costituì la prosecuzione dell’“Italia e popolo” diretto da Bartolomeo Francesco Savi. Savi e la sua la rete di collaboratori fecero de “L’Italia del Popolo” un organo di stampa prestigioso, italiano più che locale, che costituì – annota Montale - il “momento migliore” raggiunto dal giornalismo repubblicano.
Nonostante i consigli di Mazzini del 1856, di “cangiare per un po’ di tempo di tattica”, di non rispondere mai ai “giornalacci” e soprattutto di lasciar da parte il governo e di trattarlo come se non esistesse per noi”, “L’Italia del Popolo” sfidò il proprio destino.
Secondo Beccaria, che fonda la sua analisi sullo spoglio dei verbali delle sentenze e delle carte processuali conservate presso l’Archivio di Stato di Genova, “L’Italia del Popolo” fu sequestrato più di centocinquanta volte. Per Della Peruta trentotto sequestri si concentrarono nel primo semestre del 1858. Lo stesso “giornale politico quotidiano”, nel luglio del 1858, svelò settanta processi intentati dal fisco, pene pecuniarie e tre o quattro arresti preventivi dei suoi gerenti (4 luglio 1857), a commento amaro dell’arresto di Savi (2 luglio 1857) condannato a dieci anni di lavori forzati, poi commutati in detenzione, per connivenza con gli organizzatori del colpo di stato tentato a Genova il 29 giugno 1857 (3 luglio 1857; 22 dicembre 1857). L’atto punitivo venne subito attribuito al “signor Cavour”: “Che fare Signor Cavour? Arrestare il sig. Savi, Morte la bête, mort le venim”.
D’altra parte, la dichiarazione di guerra al “fomite mazziniano” era stata pronunciata e si era inasprita, prima dell’attentato di Felice Orsini, sia per la posizione interna al mazzinianesimo che il quotidiano aveva assunto, in seguito alla spedizione di Sapri, accentuando le critiche a Macchi e a Franchi sulla priorità della missione educativa rispetto al fatto rivoluzionario e difendendo la scelta di Carlo Pisacane (supplemento del 2 luglio 1857, firmato dal gerente Bartolomeo Ferretti, e poi 14 luglio 1857), sia per l’attacco politico sferrato contro l’“utopia dell’Italia da farsi dalla nazione piemontese” (10 luglio 1857) che confermò i dubbi sul regno sardo e sulla sue capacità di Camillo Benso di farsi eroe della patria.
E fu proprio il Conte di Cavour, anche per non compromettere i rapporti con Napoleone III, a chiedere all’Intendente generale di Genova, Angelo Conti, nel gennaio 1858 di “ridurre al silenzio il Monitore di Mazzini l’Italia e il Popolo”, sottolineando che per raggiungere tale scopo non si sarebbe dovuto esitare ad impiegare tutti i mezzi in suo potere”.
Tutti i gerenti e redattori responsabili furono arrestati tra le estati del 1857 e del 1858 - come registra Beccaria- e “L’Italia del Popolo” morì di morte annunciata il 28 agosto 1858, facendo un ultimo atto di denuncia sullo stato della libertà di stampa in Piemonte.
Bartolomeo Francesco Savi, amnistiato, nel 1859 avrebbe ripreso il lavoro. Dopo aver fatto richiesta che “Pensiero ed azione”, il periodico erede de “L’Italia del Popolo”, tornasse nella città natale (era stampato a Londra dal 1° settembre 1858), partecipò alla Genova dei Mille, sia promuovendo la nascita del nuovo quotidiano mazziniano “L'Unità Italiana” di Maurizio Quadrio e di Vincenzo Brusco Omnis sia partendo con l’Eroe, il 5 maggio, dallo scoglio di Quinto in qualità tenente dei Carabinieri Genovesi.
(Beccaria 1994; Della Peruta 2011; Ravenna 1967; Montale 1977, 1979, 1982; Mazzini 1931)
“L'Unità italiana” (dal 1° aprile 1860 al 29 ottobre 1871) “Giornale politico quotidiano”. Periodicità: quotidiano. Direttore: Maurizio Quadrio (ma non figura), dal 1° gennaio 1861 Maurizio Quadrio con Maurizio Brusco Omnis. Gerente responsabile: Gerolamo Marcone; dal 18 luglio 1860 Tommaso Bregano, dal 18 ottobre 1860 Glorioso Tolipiero, dal 1° gennaio 1861 Leopoldo Grandi, ecc. Collaboratori: Don Angelo Baglietto, Agostino Bertani, Federico Campanella, Filippo De Boni, Alberto Mario, Antonio Richelmi, Emanuele Rossi, Aurelio Saffi, Bartolomeo Francesco Savi, Filippo Solari, ecc. Articoli non firmati Epigrafi: Pensiero. Azione Stabilimento Tipografico: Stab. Tip. di L. Ponthenier, dal 1° gennaio 1861 a Milano dalla Tipografia di Angelo Ciminago e poi dalla Tipografia Sociale di C. Corradetti. Riferimenti bibliografici: Beccaria 1994 |
Approfondimento storico
Erede dell’“L’Italia del Popolo”, fece della testata il proprio programma d’azione (1° aprile 1860). Con un’impostazione giornalistica da organo di partito e di informazione, i commenti di collaboratori illustri nonché la lente costituita dal patrimonio di idealità mazziniane, gareggiò con “Il Movimento” nel farsi testimone della formazione del Regno d’Italia, tra slanci, frustrazioni e fratture politiche.
Dal 1° novembre 1871 si fuse con “Il Dovere”, costituendo “L'Unità Italiana e Dovere” e si trasferì di nuovo a Genova.
Il 23 giugno 1860 aveva assorbito anche il periodico “Pensiero e Azione”.
(Montale 1999)
Cfr. “Il Movimento”.