“La Lega Italiana” (dal 5 gennaio al 17 aprile 1848)

Approfondimento storico

La fondazione de “La Lega Italiana” fu opera di tre figure di spicco nazionale e suscitò fin dal suo progetto editoriale un interesse che superò i confini del Regno di Sardegna: il marchese Giorgio Doria e il suo movimento politico riformatore, il Comitato dell’Ordine, costituito nel 1847 da patrizi genovesi che avevano posto “il loro nome, le loro aderenze, la loro agiatezza al servizio della giusta causa […] la patria, l’indipendenza”; Domenico Buffa, direttore, promotore dell’iniziativa giornalistica e garante di una redazione costruita su nomi importanti tanto quanto moderati, futuro deputato e commissario straordinario di una Genova “rivoluzionaria” e intendente generale per la stessa provincia durante il “grande ministero” di CavourTerenzio Mamiani della Rovere, che, nel 1839, aveva concepito “un manifesto del Risorgimento nazionale a carattere liberaldemocratico e moderato”, il primo italiano, dal quale l’uomo politico trasse lo statuto de “La Lega”.
Il foglio propugnò  la realizzazione di una lega federale “la più stretta, la più omogenea, e la meglio ordinata”, “economica”, “politica” e “santa”, in grado di aiutare  “gagliardamente” il popolo “a costituirsi e durare in essere nazione”. Con il federalismo, cardine delle tesi di Mamiani, vi si comprese anche l’urgenza di avviare le plebi all’educazione etico-politica, per un’opera di emancipazione in grado di allineare il Risorgimento italiano alla cultura europea: il Programma infatti contemplò “l’educazione, l’ammendamento e la prosperità del minuto popolo”, “autore ed iniziatore di tutte le nostre glorie (5 gennaio 1848; 22 febbraio 1848)”. Qualche giorno dopo, toccò al collaboratore Ferdinando Pio Rossellini, ribadire a nome del giornale la linea politica e la volontà che Italia fac[esse] da sé e che Dio non cessasse di rimanere con noi (11 gennaio 1848). Il 13 gennaio 1848 Mamiani inviò una lettera all’amico Vincenzo Gioberti, futuro primo ministro del Regno di Sardegna, “facendogli considerare che La Lega Italiana era concetto di sua paternità” e invitandolo a mandare lettere da pubblicare. Era ancora il tempo del “piononismo” e di un neoguelfismo che non piaceva a Terenzio Mamiani, ma che dovette subire obtorto collo anche all’interno del giornale.
Domenico Buffa, d’altra parte, aveva discusso il programma con i finanziatori del periodico, con Bettino Ricasoli, dal quale “ebbe consigli intorno alle direttrici da seguire e al temperamento politico da conferire al nuovo organo di stampa”, nonché con l’intellettuale Giovan Pietro Vieusseux. Anche Giuseppe Mazzini fu informato de “La Lega Italiana” nel suo esilio londinese - altra prova del ruolo dimidiato di Mamiami- ed ebbe a criticarne il titolo della testata, per poca chiarezza di intenti politici - come annota Costa - .
Il direttore, fin dai primi numeri delineò la situazione grave del Lombardo- Veneto, spiegò e la difficoltà di realizzare l’unità nazionale (21 gennaio) e il concetto di “Lega”, “un patto scritto, e giurato e perpetuo che pigliando origine dal sentimento nazionale, quello svolga e accresca e traduca in fatto” (28 gennaio; 16 febbraio; 26 febbraio). Nella dissertazione – poi esortazione - sulla lega, si innestarono l’annuncio dello statuto, “Liberta” e Guarentigia”, che sarebbe stato emanato il 4 marzo 1848 da Carlo Alberto (9 febbraio 1848), la firma della carta di Leopoldo II a Firenze (13 febbraio; 19 febbraio), la concessione costituzionale di Ferdinando II di Borbone, “salutata”, dopo alcune prime perplessità (28 gennaio; 15 febbraio; 16 febbraio) e, infine, la speranza in una Roma costituzionale liberata nello slancio della fase neoguelfa (23 febbraio).
A rompere gli equilibri furono il distacco del teorico della “Lega Italiana”, Mamiani, che partì per Roma il 5 marzo 1848 (cfr. Avviso, 6 marzo), alla vigilia della sua investitura a ministro degli Interni nel gabinetto del cardinale Luigi Ciacchi, nonché l’allontanamento di Domenico Buffa, il 20 marzo, alla volta della Lombardia nelle Cinque giornate di Milano e nei giorni della deliberazione albertina d’intervento contro l’Austria. Un atto  richiesto a gran voce dalla “Lega Italiana” che, dal numero del 15 marzo, aveva “indossato la divisa” di Lega e Guerra, facendo dell’incitazione il titolo di ogni prima pagina e dedicandosi interamente alla cronaca della lotta dei “prodi” alla guida di Carlo Alberto, fiduciosa di un’“Unione di Italiani” alle “Armi” (cfr. 17 aprile 1848).

Nel mese di aprile si posero le premesse per la sospensione delle pubblicazioni e per la loro ripresa sotto nuovo segno politico ed editoriale.
Il 15 aprile, negli Avvisi di prima pagina”, gli “Azionisti della Società anonima La Lega Italiana” prev[enirono] i Signori Abbonati che la Direzione del Giornale” era cambiata: Buffa fu costretto a lasciare la guida del quotidiano, proprio per aver partecipato alla prima guerra d’indipendenza e con lui Lorenzo Ranco, nominato dallo stesso Buffa reggente in quei giorni (17 aprile). D’altra parte lo stesso Ranco, autore di un articolo critico nei confronti dell’Editto albertino (13 aprile) aveva contribuito ad aggravare la tensione con la società editrice.
Il 18 aprile, il foglio firmato da Filippo Bettini, uscì sotto la testata de “Il Pensiero Italiano”. Pochi giorni dopo Pio IX, per scongiurare il pericolo di uno scisma in un’Austria profondamente cattolica, avrebbe dichiarato l’impossibilità del conflitto, provocando la crisi del movimento neoguelfo e dell’illusione del papa guida del Risorgimento nazionale.

(Costa 2001; Grimaldi 2008; Brancati 2007; Franzoni Gamberini 1972; Della Peruta 2011; Bustico 1928, 1942; Neri 1917; Balestreri 1961).
 

“Il Pensiero Italiano”(dal 18 aprile 1848 al 31 marzo 1849)

“Giornale Quotidiano”.
Periodicità: quotidiano.
Direttore: Filippo Bettini, dal 19 luglio il tipografo Giovanni Ferrando, dal  19 settembre 1848 Nicolò Accame, direttore gerente responsabile.
Collaboratori:  Federico Alizeri, Gerolamo Boccardo, Bartolomeo Bottaio, David Chiossone, Michele Erede, Ottavio Lazotti, Goffredo Mameli, Didaco Pellegrini, Giacomo Orengo, Angelo Orsini (fino al 18 settembre 1848), Emanuele Rossi, Luciano Scarabelli, ecc.
Epigrafi: L’Italia farà da sé (Carlo Alberto); Dio è con noi (Pio IX), fino al numero del 7 agosto 1848.
Stabilimento Tipografico: Stabilimento Tipografico G. Ferrando, poi Tipografia di Andrea Moretti, di cui fu il primo periodico stampato.

(Beccaria 1994)

Approfondimento storico

Sotto la testata “Il Pensiero Italiano” maturò l’evoluzione de “La Lega Italiana”. In tal direzione, il quotidiano appare tra i periodici più interessanti del Risorgimento a Genova – come commentano anche Balestreri e Costa – .
E’ Assereto ad offrire la prospettiva più appropriata per comprendere il salto. Dopo aver sciolto ogni rapporto con Domenico Buffa (cfr. La Lega Italiana”, 17 aprile 1848), Domenico Elena, in qualità di gerente della società per la pubblicazione del “Pensiero Italiano” (diciotto azionisti, fra i quali si individuano Giuseppe Carrega, Antonio Rossi, Giacomo Balbi Piovera, Francesco Balbi Senarega, Domenico, Gian Carlo e Orso Serra, uomini del Comitato dell’Ordine), sotto la direzione dell’avvocato Filippo Bettini, spostò il foglio verso i gruppi democratici (18 aprile 1848). E, allo stesso tempo, per non far perdere i numi tutelari alla nuova testata, legò strettamente “Il Pensiero Italiano” all’ormai ministro degli Affari Esteri, Vincenzo Ricci, offrendogli l’11 maggio 1848, “le colonne del Giornale per l’inserzione di tutto ciò ch’Ella ritenesse opportuno in appoggio della buona causa”, e per “cooperare in qualche modo al bene della patria”. La condotta finì per provocare una frattura insanabile tra l’orientamento via via preso del quotidiano e le posizioni “filopiemontesi e antinazionali” del ministro e, con tutta probabilità, degli azionisti. La società editrice, infatti, si sciolse il 19 luglio 1848 e Filippo Bettini - giornalista, già mazziniano,  avviato verso un incerto moderatismo -, rassegnò le dimissioni (cfr. 19 luglio e 7 agosto 1848), cedendo la responsabilità e la proprietà del “Giornale quotidiano” all’“Editore Gerente”, nonché tipografo, Giovanni Ferrando.
L’ulteriore passaggio si consumò il 19 settembre, quando Ferrando lasciò “Il Pensiero Italiano” a Nicolò Accame di Bernardo, nuovo editore e direttore, e la testata divenne apertamente il vessillo del Circolo Italiano, fondato nel settembre del 1848.
I malumori per la sconfitta della rivoluzione, la disillusione dei genovesi nei confronti di Carlo Alberto, ai quali militanti moderati e democratici avevano guardato fino all’ultimo, tra fiducia e spirito critico, come al capo della lotta per l’indipendenza e la causa nazionale (8 agosto, il cui numero è listato a lutto, e 12 agosto 1848), la rinascita del sentimento antisabaudo, ebbero la meglio. “Il Pensiero Italiano” realizzò il capovolgimento della prospettiva moderata e neoguelfa della “Lega Italiana”, e con agilità: “Noi vogliamo ordinare […] noi vogliamo unire, […]figliuoli di una rivoluzione, ch’è giusta, santa e necessaria, ne vogliamo il compimento sincero, il nazionale sviluppo: siam di credenze democratiche, per conseguenza non adottiamo per legge sovrana che la legge della maggioranza, ed è per noi religione l’assecondare il movimento italiano conforme alle necessità e ai desiderii dei più - noi siamo coi popoli, che gridano guerra all’Austriaco, e stanno sospettosi alla custodia de’ loro diritti, che si minaccia di offendere” (20 settembre 1848).
 
Il direttore e i collaboratori Ottavio Lazotti e Didaco Pellegrini furono esponenti di spicco del Circolo Italiano e contribuirono ad alimentare lo scontento e ad ottenere la fiducia e “il consenso di popolani […] e di una parte della guardia nazionale e dei reduci dai campi di battaglia”, pretendendo “la ripresa immediata della guerra, l’armamento popolare, il rifiuto di ogni compromesso”. Accame condusse campagne giornalistiche contro l’organo liberale e liberista diretto dall’avv. Giovanni Antonio Papa, il “Corriere Mercantile” (7 settembre 1848), contro il ministro dell’Interno, Pier Dionigi  Pinelli (13 ottobre 1848), tanto che nel novembre fu messo in stato di accusa. E soprattutto sconfessò – come osserva Della Peruta – “il progetto di confederazione e di Costituente proposti dal congresso della Società giobertiana, poiché poggiavano sull’assenso di principi che, come Pio IX e Ferdinando II, avevano fino ad allora tradito”, per proclamare l’adesione alla Costituente di Giuseppe Montanelli (e prima di Giuseppe Mazzini). L’esclamazione Viva la Costituente Italiana divenne il sottotitolo del quotidiano, dal numero del 18 ottobre (10, 17, 24, 25 ottobre; 5 novembre 1848). Infine, per tagliare ogni legame con  “La Lega Italiana”, il foglio attaccò sia Mamiami ministro degli Esteri dello Stato Pontificio (14 dicembre 1848), sia Gioberti, presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, fino alla sua caduta (15 e 17 febbraio 1849): “l’uomo ristoratore, cui attorno plaudivano i popoli, mascherassi colla democrazia, spedì commissarii, chiuse circoli, attentò alla stampa, e minacciando l’assedio voleva spegnere ogni favilla di libertà rintuzzando lo slancio dei popoli (26 febbraio 1849)”, “un gran moderato, che ci tradisce, ci spoglia, ci vende, ci disonora (27 febbraio 1849)”.
Per “Il Pensiero Italiano” le possibilità di farsi voce della democrazia si vanificarono tra il 13 febbraio, quando Domenico Buffa, l’ex direttore, ormai commissario straordinario di Genova, fece sospendere l’attività del Circolo Italiano, e il 31 marzo 1849, quando il  generale di piazza Ferretti venne arrestato e la famiglia di Giacomo De Asarta, comandante la divisione militare, venne rapita a seguito di un assalto popolare a Palazzo Ducale. Genova si sollevò spezzando gli equilibri costruiti faticosamente dal governo piemontese proprio con l’intervento nel Lombardo – Veneto, nella prima guerra d’Indipendenza.
Accame, che aveva nutrito qualche speranza sulla missione di Buffa, partecipò al movimento di rivolta capeggiato dai triumviri Giuseppe Avezzana, David Morchio e Costantino Reta, inducendo la sospensione delle pubblicazioni del quotidiano.
Dopo aver invitato i Genovesi, “nipoti degli uomini del 1746” a “sorgere”, la testata si congedò con un Avviso firmato dalla Direzione, nel quale l’“aiuto alla causa del popolo” s’imponeva, in “altra maniera”, come la nuova militanza de “Il Pensiero Italiano” (31 marzo 1849).

(Balestreri 1961; Costa 2001; Assereto 1993; Neri 1917; Montale 1979, 2010; Oreste 1960; Della Peruta 2011)

Cfr. “Il Balilla”; “Il Diario del Popolo”; “Il Censore”; “Corriere Mercantile”.