“La Strega”  (dall’8 agosto 1849 al 10 luglio 1851)

Approfondimento storico

 “La Strega”, con le sue due prosecuzioni “La Maga” (24 luglio 1851- 18 novembre 1856) e “La Vespa” (25 novembre 1856-26 febbraio 1857) costituì il segno della vivacità della stampa genovese nel “decennio di preparazione”, della sua carica politica e partecipativa, democratica – di ispirazione mazziniana -, in questo caso satirica. Fu un giornale illustrato appartenente al filone della carta stampata umoristica che iniziò ad utilizzare il disegno come antesignano della vignetta fin dalla testata (si pensi, in riferimento, a “Il Fischietto” con i fendenti firmati da Francesco Redenti). Secondo Della Peruta, “La Strega” si impose “senza possibilità di confronto su altre iniziative del genere tentate nella “città ligure”, dai democratici “Fra Burlone” (20 dicembre 1849-9 maggio 1850), “Il Diavolo zoppo” (7 maggio-29 maggio 1850), “L’Inferno” (27 maggio - 21 luglio 1850), “L’Arlecchino” (4 dicembre 1850-29 gennaio 1851) e il più tardo “Il Cannocchiale” (29 novembre 1858-17 gennaio 1859).

Fu dominante anche per diffusione, nonostante i sequestri, la scomunica di Pio IX e il divieto di circolazione in tutti gli Stati tranne che in quelli sardi: con l’identità della “Maga” nel 1853, secondo i dati trasmessi dalla Direzione delle poste all’Intendente, a Genova, superò sia l’ufficiale “Gazzetta di Genova” sia il mazziniano “L’Italia e Popolo” – dati riportati da Montale –. Le sue pubblicazioni sarebbero cessate quando la battaglia   intrapresa, con punte di aggressività accesa, sarebbe stata resa vana dalla crisi della democrazia risorgimentale e dallo spostamento graduale dell’opinione pubblica sulle posizioni del concorrente “Il Movimento” e su un più generale lealismo sabaudo.
Bianca Montale, proiettando la vicenda de “La Strega” su quella de “La Maga”, mostra attenzione ai suoi indici di diffusione che ne fecero per anni il periodico più letto a Genova, sebbene non nasconda e la definizione di “giornaletto” e le annotazioni sul “dubbio gusto” del suo anticlericalismo o sulla “levatura[…] modesta” del foglio. Eppure – come la stessa storica ammette – la testata seppe soffiare sul fuoco dei sentimenti antipiemontesi, repubblicani, democratici, unitari per un’opinione pubblica che comprese i ceti popolari, senza escludere gli intellettuali radicali, nella Genova del biennio 1849-1851 e dare fiato al 1849 Contro i Savoia, ai suoi miti rassicuranti e ai suoi assestamenti ideologici (11 e 12 dicembre 1850).

Sulla fondazione come sui suoi collaboratori (emigrati politici, secondo Balestreri) non si hanno documenti certi, e la ricerca storiografica ha stabilito che il foglio sorse a pochi mesi dai fatti del ’49 per iniziativa degli avvocati Luigi Priario e Giacomo Borgonovo. Nicolò Dagnino, il tipografo, editore di gran parte degli scritti mazziniani, funse da direttore ufficiale.

ingrandisce in nuova finestra immagine del numero a. I, num. 1 (24 luglio 1851) de La Maga
Fu periodico di indirizzo democratico, anticlericale, di taglio popolare, ma “con caratteri particolari” tanto da presentarsi, nel primo numero dell’8 agosto 1849, non come organo genovese ma come giornale “prettamente” italiano e, dal numero del 21 marzo 1850, da rinsaldare la propria fisionomia ritraendosi sulla testata come una strega intenta a calpestare uno scettro e una corona reale e a far cuocere in un pentolone, con il fuoco alimentato da fogli di carta clericale (“Il Cattolico di Genova”, poi “Il Cattolico”, che fu ciclicamente materia di polemiche, e “L’Armonia”), strani animali con sembianze e segni nobili, insomma papi, principi, re, imperatori. In tutte le sue vesti tipografiche, compresa quella de  “La Vespa”, la “più fredda, ma educata e prudente” - secondo Tosonotti -, accumulò quindici processi con condanne e nove con assoluzione. Al mese di maggio 1851 (8), quasi a fine “mandato”, il bilancio complessivo ne contò undici.
Almeno tre furono i casi clamorosi suscitati da “La Strega” - secondo Tosonotti e Beccaria -, giornale di difficile lettura come tutti i fogli satirici. Nel 1849, nei primi mesi di vita fu costretto a ritrattare l’attacco sferrato contro i bersaglieri di Lamarmora e contro lo stesso generale, il quale sarebbe stato esposto in caricatura con il nome di Zebedeo I, duca di San Benigno anche in tempi successivi (10 ottobre 1849). Come raccontò la stessa “La Strega”, ne L’abbian scansata (13 ottobre 1849), la notte del 10 ottobre lo stabilimento tipografico Dagnino, in piazza Cattaneo, fu invaso da “un forte numero di bersaglieri”. L’articolo ebbe tali ripercussioni da essere discusso alla Camera nella seduta del 5 novembre 1849 (“Si trattò in questa, la terribile contesa che la Stregaccia ebbe coi Bersaglieri coi quali ora è perfettamente pacificata”, 7 e 8 novembre 1849, 2 gennaio e 21 febbraio 1850), ma questo non impedì al periodico, nonostante una sospensione “censoria” (18 novembre 1849), di continuare a stigmatizzare il Piemonte “agonizzante” (21 novembre 1849). Con Lamarmora (26 settembre 1849; 25 maggio 1850; 11 gennaio e 6 marzo 1851),  fu Camillo Cavour (“Signor Cava–oro, o Cava–orine, o Cava-orrore”, 25 settembre 1851) a guadagnarsi un “primato di presenze” nelle caricature e nelle staffilate (26 gennaio 1850) prodotte soprattutto da “La Maga”, proprio nel periodo dei dicasteri dell’Agricoltura, del Commercio e della Marina e, poi, delle Finanze, nell’esperimento di politica di conciliazione con Genova e di quel ralliement, interrotto dai fatti del ‘48-‘49, ma iniziato tra il 1845 e il 1846, con la concessione di Carlo Alberto alla costruzione della strada ferrata fra Torino e Genova e la fondazione della società Taylor e Prandi a Sampierdarena. E se si eccettuano le lodi al ministro Siccardi per l’omonima legge in sintonia con l’anticlericalismo de “La Strega” (19 febbraio, e, per le “immagini”, 9 marzo e 16 marzo con predica, nonché 13 aprile 1850), il giornale condusse una lotta senza sosta contro la politica piemontese dall’armistizio Salasco (15 agosto 1849 per litografia), e “contro i militari[…]sacri, gl’impiegati[…] intangibili, i Preti [che]ti scomunicano, le spie” e contro i limiti di una “sperticata libertà di stampa [che] prima di metter fuori un articolo bisogna far tre ore sul codice criminale…” (18 novembre 1849, 2 aprile 1850).
L’altro episodio si verificò nella primavera del 1850 e sarebbe costato l’arresto e la detenzione di due mesi di Nicolò Dagnino (6 agosto e 15 ottobre 1850). Il 28 marzo, giovedì della settimana santa, “La Strega”  pubblicò L’Italia crocifissa, litografia di Gabriello Castagnola, definita “parodia iniqua ed oscena” della passione di Cristo. L’immagine risulta ancora di forte impatto: ritratta è un’Italia crocifissa, torturata dalle lance di La Marmora e, dall’altra parte, da quelle di un uomo in abito da gesuita (forse Pio IX). Ai suoi piedi pregano un Garibaldi disperato e Mazzini che guarda al cielo. Sulle croci laterali sono raffigurati, come ladroni, Carlo Alberto e Ferdinando II di Borbone. In basso, Cavour e Rattazzi si giocano a dadi la “veste”. Il giovane imperatore austriaco, Francesco Giuseppe, tiene il cesto dei chiodi e porta il martello- come annota Costa - .
La Strega”, incrudelendo e forse credendo di uscire indenne dal processo, propose un’altra caricatura densa di significato, I diecimila crocifissi, corredata di Orazione dedicata ai Mameli, ai Mazzini, ai Garibaldi, ai Bassi, ai Manin, ai Kossuth, ai patrioti, ai “martiri”, ai traditi (22 giugno 1850). Alla notizia della conferma della condanna da parte della Corte di Cassazione di Genova, per offesa alla “Religione dello Stato” e per “lo scandalo arrecato”, commentò, chiudendo un capitolo della sua storia: “Cel sapevamo, come sapevamo che chi è sempre stato docile istrumento di tirannide, non può diventare in un giorno il depositario e il custode dei diritti popolari….Cel sapevamo, come sapevamo che la Strega è Strega e che il Piemonte è il Piemonte…(3 e 4 agosto 1850)”. Il mazzinianesimo, tra i primi elementi ispiratori, peraltro, avrebbe  lasciato terreno a posizioni più avanzate, come dimostrò la chiosa alla fondazione del Comitato nazionale Italiano a Londra, “pezzo” di critica veemente, rivolto, con un’incitazione forse semplice, ai “popoli”: “credete ai fatti, non alle vane parole […] e finché i vostri avversari non vi mostrino una Roma migliore di quella di Dio e del Popolo, state fermi, lasciateli gridare[…] Al primo sparir della Canicola le cicale crepano[…] (5 novembre 1850)”
D’altra parte, la lotta dovette temporaneamente cessare per un altro procedimento giudiziario che sarebbe risultato fatale a “La Strega” (24 e 26 luglio 1851), pur rafforzandone le posizioni e ponendo le basi della sua rinascita ne “La Maga”. Il 25 febbraio 1851 apparve un articolo anonimo indirizzato al principe Eugenio di Carignano, con l’accusa di costituire la parte reazionaria del governo. Il periodico fu costretto ad assistere nuovamente all’assedio dello stabilimento tipografico Dagnino-Lavagnino da parte di “cavalieri torinesi” (tra i quali il conte Castelborgo, il marchese Cusani, il marchese Costanzo, capeggiati dal conte Deviry), scortati da uomini armati e da carabinieri, affinché il foglio facesse pubblica ammenda dell’errore (8 marzo 1851). All’atto di violenza contro il giornale si rispose sul numero del 4 marzo e in grassetto: “La Strega / Non si ritratta mai”. L’episodio produsse scalpore anche fuori Genova, facendo strada all’idea che si stesse assistendo a qualcosa di grave, ad un attentato alla democrazia, ad un tentativo di soppressione dell’organo satirico. E intanto Borgonovo e Priario, che, con Nicolò Dagnino, finalmente uscirono allo scoperto, riuscirono a riportare al centro del dibattito della Camera il principio dell’indipendenza del giornalismo, con l’interpellanza del 10 marzo  1851 (14 e 18, marzo, 13 maggio).
“La Maga” ereditò e vinse la battaglia (5 gennaio 1852). Fu una vittoria, sebbene dimidiata (solo per Cusani, Castelborgo e Deviry si emise  condanna, con pena pecuniaria), che accreditò il periodico presso l’opinione pubblica come alfiere della libertà di stampa: “Ad una Sentenza simile noi ci asteniamo di far commenti. La COSCIENZA PUBBLICA li farà per noi. Il Popolo che si è tanto indignato, ed ha così nobilmente preso le difese della legge, allorché vide conculcata in noi, connivente o non opponente il potere, darà ora il suo giudizio. Il nostro sta nel silenzio”. 

(Della Peruta 2011; Montale 1977, 2010; Balestreri 1957; Tosonotti 1915,1916; Costa 1977; Marchetti, Infelice, Mascilli Migliorini, Palazzolo, Turi 2004)

Cfr. “Il Cattolico di Genova”; “Il Censore”; “Corriere Mercantile”; “La Stampa”, ecc.