“La Stampa”  (dal 7 novembre 1853 al 31 dicembre 1855)

Approfondimento storico


“La Stampa” nacque per volontà dell’Intendente di Genova, Domenico Buffa, come organo filogovernativo incaricato di contrastare la diffusione del periodico satirico “La Maga” e del quotidiano mazziniano “Italia e Popolo”. La collaborazione dell’amico Luciano Scarabelli, già a capo de “Il Censore”, segnò una linea di continuità nella stampa ligure risorgimentale.
 “La Stampa”, alla stregua di tutti i fogli ufficiali, venne finanziato direttamente dal governo del Regno di Sardegna. Diversi furono i fogli che  Cavour “pretese” di fondare per avere il sostegno al suo lungo ministero  a Torino a Genova, dove per il conte Camillo Benso i favori dei costituzionali “Corriere Mercantile” e della “Gazzetta” non risultavano sufficienti. All’iniziativa, però, non parve estraneo l’armatore Raffaele Rubattino, potente alleato dello statista. 
“La Stampa” “dichiarò inizialmente di voler contribuire a far progredire le libere istituzioni e a rafforzare la monarchia sabauda”, perché il suo consolidamento avrebbe condotto l’intera Italia verso un futuro positivo  (7 novembre 1853). In dicembre, in occasione delle elezioni politiche, il giornale sostenne perciò apertamente i candidati “costituzionali”.
Sotto la direzione di Daniele Morchio (collaboratore del “Corriere Mercantile” e de “Il Balilla”), “La Stampa” diede centralità alla questione dell’indipendenza italiana (7 aprile 1854), perorando la causa della guerra di liberazione, ma soprattutto, seguendo precise direttive, attaccò sia la stampa radicale e mazziniana sia quella reazionaria (vedi il giornale clericale “Il Cattolico” o, ancor peggio, la gesuitica “Civiltà cattolica”). Da questo punto di vista, la testata non riuscì tuttavia a conseguire i risultati auspicati, come rivelano significativamente i dati ufficiali sulla diffusione della stampa genovese, nonché le future vicende degli stessi organi repubblicani e democratici.
Filocavouriano programmaticamente, ebbe solo un momento di cedimento circa l’alleanza di Crimea e l’impegno militare del Piemonte, che rischiava di mettere in secondo piano quello che per il giornale avrebbe dovuto essere il vero obiettivo della politica estera, cioè la causa dell’indipendenza nazionale, oltre a creare confusione nei rapporti con l’Austria e con la Francia – come ha osservato Della Peruta - . Ma fu solo un tentennamento, una condotta destinata a durare l’espace d’un matin: “La Stampa” si adeguò alla linea governativa in fretta e furia, “pur tra le continue esortazioni al governo per un più risoluto impegno per il rafforzamento del potenziale militare del paese” (14 aprile, 11 ottobre 1855, ecc). Se il Regno di Sardegna aveva deciso di partecipare alla guerra di Crimea era giusto sostenerne l’impegno bellico senza alcuno indugio: “L’impresa di Crimea cui prenderà parte il nostro esercito sarà uno dei più memorabili fatti militari della storia moderna: dobbiamo quindi augurare ed adoperarci con ogni sforzo acciocché in quella storia v’abbia una bella e gloriosa pagina per l’Italia (24 gennaio 1855). I toni nazionalisti crebbero ulteriormente con l’arrivo in maggio delle truppe piemontesi in Crimea e in agosto nelle cronache della battaglia sul fiume Cernaia, quella in cui cioè i soldati russi  attaccarono i militari piemontesi e francesi nel vano tentativo di spezzare l’assedio di Sebastopoli. In ottobre “La Stampa” promosse addirittura una sottoscrizione per il ricordo dei combattenti italiani in Crimea, evitando peraltro accuratamente di riferire che le morti dovute all’epidemia di colera erano state assai più numerose di quelle causate dall’impeto della battaglia.
Il 31 dicembre 1855, nell’annunciare la sospensione delle pubblicazioni, il quotidiano mise in evidenza il mutamento del clima politico genovese negli ultimi due anni, una moderazione di opinioni che rendeva meno necessaria l’esistenza della stessa testata. “La parola con cui salutiamo i benevoli nostri [lettori] −  si scrisse nel congedo ufficiale − è quella che compendia i nostri sentimenti, i nostri voti più ardenti, le aspirazioni dell’intera nostra vita: ‘Viva l’indipendenza italiana!’ “.

(Beccaria 1994; Della Peruta 2011; Montale 1967; Piccioni 2010; Costa 1982; Oreste 1961)

Cfr. "Il Censore"; "La Maga"; "Italia e Popolo"; "Il Cattolico"; "Corriere Mercantile", ecc.