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“La cronaca italiana registra fin dalla metà del Cinquecento numerosi casi di inviti di vescovi ai gesuiti per compiti di cura d’anime… La cosa non mancò di suscitare problemi: di fatto, si andava verso la supplenza da parte di un ordine religioso in un genere di compiti che appartenevano ad altre autorità ecclesiastiche: il vescovo, l’inquisitore, i loro vicari. D’altra parte, gli strumenti di cui disponeva la Compagnia la rendevano particolarmente adatta a realizzare gli obiettivi per i quali si tornava allora alla visita pastorale, non più un semplice atto di controllo amministrativo ma strumento di una vera e propria opera di conquista religiosa: confessori esperti e in possesso  di poteri larghissimi per rimettere i peccati di ogni tipo, maestri nell’arte di guidare le coscienze e di stimolare la devozione con la frequenza delle comunioni, essi erano per di più predicatori di larga efficacia… Nei confronti dell’Inquisizione, ci fu molto presto una decisione di prendere formalmente le distanze in modo da non suscitare i sospetti e la diffidenza dei penitenti… Nei confronti dei vescovi e dei loro vicari, quando i contrasti nascevano, bisognava evitare di alimentarli e tirarsi indietro con cautela. Ci furono gesuiti costretti ad abbandonare le visite per la resistenza di vicari sospettosi o per le reazioni di vescovi che non concordavano con le loro iniziative. Si giunse così alla decisione di separare nettamente l’azione dei gesuiti dalla visita pastorale: e qui le parole offrirono la soluzione. L’azione dei gesuiti si chiamò ‘missione’ e questo permise di distinguerla dalla visita pastorale. Alla fine del Cinquecento, il processo si era concluso. Le istruzioni, da allora in poi, avvertirono chiaramente che le due cose erano diverse e che in ogni caso non si doveva tenere la missione in coincidenza con la visita pastorale. Chi rimaneva fedele agli usi antichi, dovette essere richiamato all’ordine… Che il problema esistesse non c’è dubbio. Il generale della Compagnia aveva il dovere di essere attento a evitare ogni conflitto giurisdizionale, e se avvertiva l’esistenza di un problema di questo genere doveva avere le sue ragioni… l’avvertimento era da prendere sul serio. E questo vale anche per chi si chieda quale fosse… lo statuto della missione popolare e quali rapporti la nuova e importante realtà del mondo cattolico italiano avesse con la visita pastorale. Sono rapporti che più avanti si fissarono in formule rigide e furono registrati dai manuali dei canonisti. Allora si imparò a distinguere tra “missio” e “visitatio”: alla visita pastorale fu riserbato il compito della correzione e della riforma o ritorno in pristino della disciplina. Quanto alla missione, si distinse tra quella nei paesi dell’Oriente remoto o comunque non cristiani e quella rivolta al mondo cristiano: la prima doveva occuparsi della predicazione del cristianesimo, la seconda aveva invece la funzione di risvegliare nei popoli la pietà religiosa.”

Cfr.: Adriano Prosperi Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996,  p. 575-578  passim.