269, [3] p. ; 8o
Cors. ; rom
Segn.: A-R8.
«La storia di queste attese legate più o meno al filone gioachimitico é nota. Spettò soprattutto all'ordine francescano farsi promotore di questa interpretazione storiografica e mostrarsene il realizzatore provvidenziale; ma il fascino della costruzione era troppo radicato nella cultura europea perché non si affacciassero anche molti altri candidati. Così, accanto agli storici francescani - Bernardino de Sahagún, Girolamo di Mendieta, Juan de Torquemada, fino a Francesco Gonzaga e a Lukas Wadding - troviamo un continuo riaffacciarsi nel corso del secolo di tentazioni millenaristiche e apocalittiche nella lettura del significato della scoperta dell'America, pronte a applicarsi anche a altri ordini missionari. Così, per il fiammingo Lummen (Lumnius) che scrive sotto l'emozione della grande rivolta dei Paesi Bassi, sono i gesuiti a configurarsi come gli angeli inviati («missi») da Dio verso le isole sconosciute della profezia di Isaia per preparare il millennio felice e il giudizio finale. Del resto, di quella prima ispirazione profetica e di quel forte impulso interiore in uomini che si sentivano chiamati a compiere un grande disegno divino rimasero tracce in tutto il secolo, nei più vari ambienti, e qualcosa si depositò stabilmente nella stessa idea di missione. Come si ammetteva comunemente, accanto alla «missio» come atto del potere ecclesiastico ordinario, c'era l'invio come atto diretto di Dio, inteso per ispirazione interna. Di quella prima fase restò anche traccia nella durevole coloritura evangelica del vocabolario relativo all'attività missionaria: fin da allora, il linguaggio della comunicazione ordinaria tra chi svolgeva compiti di quel tipo trabocca di immagini tratte dalle parabole evangeliche e dagli Atti degli Apostoli. Così, il gesuita Cristoforo Landini, scrivendo dalla Corsica a Ignazio di Loyola nel 1553, invocava «che si mandono buoni pastori, et santi operarij»; e col termine «operarii» alludeva nelle sue lettere sia al lavoro nella «vigna del Signore» che egli stesso stava svolgendo sia a quello, ai suoi occhi ben più importante, che i suoi confratelli svolgevano fuori d'Europa. Erano immagini e aspirazioni fortemente radicate, alle quali lo spettacolo della crisi delle istituzioni ecclesiastiche tradizionali portava nuovo impulso. Si era tentati di inserire la scoperta e la cristianizzazione delle popolazioni americane in un disegno provvidenziale di soluzione dei conflitti per intervento divino, con l'affidamento a un agente politico-religioso del compito di rappresentare il disegno divino: la monarchia spagnola fu, nella celebre interpretazione di Tommaso Campanella, l'ultimo e il più consistente soggetto capace di incanalare quel disegno di abolizione delle divisioni, di costruzione di un solo ovile sotto un solo pastore. Questo intreccio fra rappresentazioni mentali e referenti politici è evidente anche quando si abbandonano del tutto gli ancoraggi europei e si compie l'ultimo passo sulla via dell'interpretazione della scoperta dell'America come segno di un progetto della Provvidenza: è questo il caso della congiura scoperta nel Perù coloniale alla fine del '500 che aveva l'obiettivo di realizzare in terra americana la nuova chiesa, senza le macchie dell'antica, capace di governare il mondo durante il millennio felice.»
[testo di Adriano Prosperi tratto da relazione intitolata L’Europa cristiana e il mondo: alle origini dell’idea di missione, rintracciata online con la dicitura "Si pubblica qui per gentile concessione degli organizzatori la relazione presentata al corso della Fondazione Cm del settembre 1991: http://xoomer.virgilio.it/martinm/PUG/Adriano%20Prosperi-missione.pdf ", ma oggi (luglio 2013) non più rintracciabile online].
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