Aprosio Angelico

 

Aprosio, Angelico (Ludovico al secolo) nacque il 29-X-1607 da famiglia ventimigliese: i genitori, Marco e Petronilla, appartenevano a due rami del ceppo d’origine romano-imperiale degli Aprosio. Dopo la morte del fratello Beniamino, egli rimase solo figlio maschio ed i genitori lo fecero applicare allo studio o di Legge o di Medicina. Il giovinetto preferì vestire l’abito degli eremitani di S. Agostino nel convento intemelio dell’ordine (19 marzo 1623). Il padre, a testimonianza di contrasti risolti, lo accompagnò a Genova per fare il noviziato nel convento della Consolazione. Preso il nome religioso di Angelico, egli trascorse nella capitale ligure l’anno di noviziato trattenendovisi sino al 1626. Presto rivelò una certa indocilità a star troppo tempo nello stesso luogo e, vinte le riserve dei superiori, prese dimora in Toscana, a Siena, presso il Convento di S.Agostino. Il soggiorno senese risultò importante per la formazione d’Aprosio. A parte le amicizie che vi contrasse (con Annibale Lomeri, Francesco Buoninsegni e Girolamo Ubaldino Malavolti) in questa città Angelico maturò la scelta culturale per G.B.Marino, attorno al cui poema Adone, egli avrebbe in seguito edificato parte delle sue opinioni estetiche. L’assalto intellettuale alle cinque migliaia di stanze relative ai casi dell’infelice amante di Venere non fu solo interminabile fatica. Per il frate il vasto poema del Marino, oggetto nel secolo di amori e odi, finì col rappresentare un modello di cultura, di una cultura che il funambolismo linguistico e la frustrante erudizione sottraevano ad ogni fruizione plebea per trasformarla in previlegio di casta. A tal punto risulta sintomatico che Aprosio, sempre a Siena, sia entrato in contatto con l’accademismo che, spesso e volentieri, si combinava col marinismo e che, al pari di questo, portava avanti un giudizio aristocratico del fare poetico e critico, cioè erudito. Qui divenne amico di Alcibiade Lucarini, docente di diritto, fondatore dell’ Accademia degli Uniti e, a Salerno, di quella degli Occulti: grazie al Lucarini ad Aprosio s’aprirono pure le porte dell’ancora più importante Accademia degli Intronati.
A Siena (1628), Angelico, tra gli scaffali della libreria di Gian Paolo Ardoi, s’imbattè nell’Occhiale di Tomaso Stigliani, il famigerato libercolo in cui il poeta e critico di Matera aveva raccolto vari rilievi critici all’Adone. Lo scritto dello Stigliani andava suscitando reazioni accese e contrastanti in ambito senese, ma Luca Simoncini, unico erudito locale che tentò per le stampe una risposta critica, finì per essere burlato dalla cultura ufficiale. Aprosio, conscio della propria inesperienza, non osò invece avventurarsi in qualche disputa col più esperto erudito pugliese; attese invece con pazienza che, da Firenze, F.Girolamo della Ripa, il Caprodosso, gli inviasse l’Occhiale appannato, lavoro con cui il marinista Scipione Errico andava raccogliendo fama nelle accademie. Ricevuto il libro egli indirizzò subito a questo una lettera cordiale e adulatoria. Aprosio si vide quindi recapitare una prima affettuosa risposta dell’Errico (da Messina,15 luglio 1630): quel primo appuntamento epistolare avrebbe rappresentato l’inizio di un quarantennale sodalizio intellettuale, destinato a spegnersi solo nel 1670, colla morte del poeta siciliano. Ispirato dall’Errico Angelico scrisse allora la sua prima vera opera, La Sferza Poetica (contro lo Stigliani!), che tuttavia non potè far pubblicare dallo stampatore fiorentino Cristoforo Tomasini, con cui s’era accordato, per la peste portata dai Lanzi nel 1629-30.
Verso i 23 anni Angelico venne incaricato dell’Ufficio di Lettore a Monte S.Savino, presso Siena, dove strinse amicizia con Pier Francesco Minozzi, bizzarro letterato, che gli insegnò i misteri di scritture cifrate, codici gematrici, alfanumerici e cabalistici. Nel 1634, desiderando rivedere la Patria lasciò la Toscana e rientrò a Genova per risiedervi sino al 1637. Qui strinse intima amicizia col futuro doge Alessandro Spinola, frequentò l’Accademia degli Addormentati, introdusse il Minozzi nelle grazie di Anton Giulio Brignole Sale e, inaugurando la propria attività di editore critico, ne curò in Milano, alle spese di Carlo Ferrandi mercante libraro, la stampa delle Libidini dell’ingegno, discorsi di varia erudizione scritti e recitati nell’ accademia genovese. I confratelli genovesi non apprezzavano queste sue irrequietudini e, per ricondurlo ad una vita più tranquilla, cercarono d’assegnargli funzioni amministrative: ma Angelico, ancora preso dalla frenesia di viaggiare e conoscere, non accettò nemmeno la prestigiosa carica di Priore del Convento di S.Nicola di Chiavari, e riottenne licenza di congedarsi dal genovesato. Si recò a Pisa dove si aggregò al confratello Nicola Campiglia che, lasciata la reggenza dello Studio di S.Giovanni di Carbonara in Napoli, si recava a nuova sede nella città di Treviso. Il viaggio dei due religiosi fu infelice, tormentato da brutto tempo e squallidi soggiorni in osterie frequentate da ribaldi: giunto sano e salvo a Treviso (7 luglio 1637), Angelico si giovò di un’ottima accoglienza nel Convento di S.Margherita, dove dimorò per due anni, in gran parte dedicati agli studi, e dove pubblicò (1637) in numero limitato di copie, Il Vaglio Critico di Masoto Galistoni (suo pseudonimo) sopra il Mondo Nuovo di T.Stigliani. Il giovane erudito, che mosse severe critiche al poema stiglianeo del Mondo Nuovo, era tuttavia ancora molto insicuro di sé dopo la stagione rinascimentale lo spagnolismo andava conferendo alla società italiana connotati di provincialismo ideologico ed una propensione verso quel sincretismo compromissorio che avrebbe divorato talenti liberi ed appena emergenti: già buon esperto dei fatti della vita e convinto che in Italia, per qualsiasi letterato o pubblico personaggio, fosse altrettanto necessario l’apparire che il fare, Aprosio ebbe il suo colpo di genio e convinse il modesto stampatore trevigiano Righettini a sostituirsi, in fronte al volume, con un nome esotico, quello di Wallop editore in Rostock, molto ad effetto, molto stimabile fra i sussurri e le grida delle Accademie italiane. Questo fu il suo primo passo per diventare, quasi dal nulla, un promotore culturale, un venditore di sapere, sempre ben mescolato alle esigenze intellettuali di volta in volta richieste dai ceti egemoni; il colpo gli riuscì bene: quei nomi stravaganti accesero curiosità e divennero un lasciapassare verso nuove corrispondenze...anche lo Stigliani rimase titubante. Nel maggio del 1639 il frate intemelio riprese a viaggiare, accompagnando a Feltre, dove era stato trasferito, l’amico Jacopo Venza, già Priore di S. Margherita: la nuova residenza non gli piacque , soprattutto per il clima insalubre, e se ne allontanò alla prima occasione, il 30 luglio dello stesso anno. Ancora una volta seguì il Venza, destinato, per decisione imprevista dei superiori, alla carica di Vicario Generale della Congregazione di Dalmazia, nell’isola di Lesina. In compagnia di Paolo Benzoni, nobile veneto, castellano e camerlengo di Lesina, i due agostiniani, dopo una tappa a Rovigno nell’Istria, raggiunsero l’isola il 4 agosto 1639 e la trovarono semibarbara, priva di comodità, popolata da abitanti fin troppo dediti alle libagioni: Aprosio se ne fuggì presto il 10 dicembre imbarcandosi su una Marciliana di Chioggia che lo sbarcò in Venezia, dopo dodici giorni di viaggio, alle porte del Convento di S.Stefano, dove trascorse le festività sino all’Epifania. Rifiutata l’ospitalità del Nunzio Apostolico di Venezia Mons. Vitelli, Aprosio si trasferì presto al monastero di S.Cristoforo della Congregazione di S.Ortone; da qui si allontanò nel quaresimale del 1640 a predicare nel Trevigiano. Espletati i suoi doveri non tornò più a Merano ma raggiunse Chioggia, il cui convento era miserabile ma ottimo per raggiungere i suoi fini: che erano quelli d’avvicinarsi a Venezia, la cui attrazione mondana e culturale si faceva sempre più forte nei suoi confronti.
Anche a Chioggia si occupò di lettere piú che di preghiere; vi approfondì i contatti culturali cogli eruditi veneziani Loredano e Michiele, oltre che con lo stampatore Sarzina e col frate spagnolo Pietro Romero, della cui opera Venetia Evierna, presso il Sarzina, curò nel 1641 un’eccellente prima edizione. Il passo verso Venezia Aprosio lo compí dopo la Pasqua quello stesso anno grazie al priore di S.Stefano Leonardo Oca. L’evento fece registrare qualche contrattempo e peraltro il priore di Verona s’arrabbiò per quella fuga da Chioggia: lo stesso Oca rimase stupito delle stranezze del Ventimiglia (così molti erano soliti chiamare Angelico), e pensò ch’avessero addirittura ragione quelli che lo soprannominavano poeta, nel senso di spirito bislacco. Per evitare incidenti Aprosio si mise tranquillo per un pò: calmatesi le acque prese a uscire di Convento per recarsi ad insegnare legge a nobili giovinetti veneziani: la frequenza delle case patrizie gli diede l’occasione di mettersi in contatto con importanti personaggi della politica, della cultura e della religione. Pian piano gustò i piaceri di un’esistenza sempre aperta ai contatti umani e divenne abituale frequentatore dei salotti letterari, ove dava prova della sua parlata elegante e leggeva stralci delle sue opere.
Venezia assunse ai suoi occhi il porto dell’Ideale, la sede migliore per la sua maturazione e per il suo successo. La città lagunare, regina, solo un pò decaduta, dell’arte della stampa, ancora nodo della cultura europea, centro importante di vita sociale e commerciale, lo avvinse fino al 1647, nell’arco di un soggiorno tanto felice quanto poi rimpianto. Qui strinse gratificanti amicizie con numerosi letterati che facevano capo alla libertineggiante Accademia degli Incogniti, che per una trentina d’anni (1630-1660) si sarebbe riunita attorno al nobile Giovanni Francesco Loredano. In questo ambiente Aprosio affinò le sue doti, organizzando in modo più concreto e lineare sia i suoi interessi eruditi che la produzione letteraria: intensificò inoltre il panorama dei suoi corrispondenti tra cui Lelio Mancini, Gaspare Scioppio, Leone Allacci e Jacopo Tommasini. L’incontro più signficativo fu però quello con la tradizione tipografica veneziana; presto Angelico divenne un assiduo frequentatore dell’importante stamperia di Matteo Leni e Giovanni Vecellio acquistando dimestichezza coi più rinomati librai o editori di città come il Sarzina, il Combi, l’Hertz, il Ginamni, il Pavone, il Valvasense e quel Giovanni Guerigli che gli donò preziosi libri, italiani e stranieri, che furono nucleo della Biblioteca Aprosiana
. La frequentazione degli Accademici Incogniti, ove si discuteva in libertà d’argomenti proibiti, comprese certe licenze sessuali e intellettuali, influenzò la formazione dell’agostiniano intemelio. Nel corso di svariati incontri culturali egli si accostò al gusto dell’arte erotica e si tuffò nel contesto di vari, pruriginosi dibattiti sul mondo, per lui tanto misterioso quanto affascinante, della femminilità: a questo universo di conoscenze, pervaso di toni misogeni, lo condussero il Loredano e Scipione Errico, giunto a Venezia nel 1643: la scelta d’un deciso antifemminismo gli fu però suggerita dal caso di P. Michiele, Incognito ed autore dell’Arte degli Amanti, che Aprosio, in una visita inaspettata (1643), trovò, nel suo castello di Pieve di Cadore, perduto schiavo d’amore nelle mani ...di quella che nelle sue Poesie chiama Donna, il cui vero nome era Apollonia, ferrarese di nascita.... Così, un pò per indole ma soprattutto per voglia di primeggiare nei salotti, l’agostiniano prese a dire e scrivere contro le donne, specie contro le donne da poco, come era solito precisare, cioè le puttane, le concubine e un pò tutte le povere criste: in realtà voleva più far colore, suscitare meraviglia che procurar danni o fomentare polemiche...le donne comuni erano di fatto un ben comodo bersaglio per la sua penna iridescente che sapeva frugare e metter a nudo, con la scusa pietosa d’un predicar da moralista, tra i vizietti e viziacci della provincia veneta. Ritenendosi protetto dalla sua condizione di religioso, Aprosio finì per calcare un pò troppo la mano sì che si trovò a rendere conto del suo agire proprio ad una femminella, seppur di non poco conto, la suora veneziana Arcangela Tarabotti. Per sua sventura si trattava di una donna che, costretta ad entrare in convento per crude leggi di famiglia, era riuscita a far suo il sapere dei maschi e che ora sembrava voler riscattare il proprio sesso dall’inferno dei luoghi comuni...compresi quelli da, quasi due secoli, ormai ben codificati nel Malleus Maleficarum, la Bibbia dei cacciatori di streghe e Demoni.
La vicenda ebbe un suo retroterra ed anche un seguito. In origine Angelico e la Tarabotti non erano stati in disaccordo, lei anzi gli ricercava consigli e pareri.....divennero antagonisti solo quando la suora criticò con successo la Satira contro le donne di F. Buoninsegni, amico toscano del Ventimiglia che sentì l’obbligo d’intervenire in suo favore, componendo l’antidonnesca Maschera Scoperta di Filofilo Misoponero in risposta all’antisatira di D.A.T. scritta contro la Satira del Sig. Francesco Buoninsegni. Ma questo lavoretto (del 1645) non superò lo stato di manoscritto (solo recentemente è stato edito da E. Biga) in quanto la Tarabotti ne riuscì ad impedire la pubblicazione, già concordata col Valvasense. Tal delusione inasprì il Ventimiglia convinto di quanti siano bestiali le donne e vendicative: parte della sua rabbia, sconfinante spesso nella Misoginia, si stemperò, ma un pò di veleno contro le femmine, specie se intelligenti od astute, gli rimase in corpo e venne travasato in un’opera piccante e antidonnesca, Lo Scudo di Rinaldo stampato, sotto pseudonimo di Scipio Glareano, in Venezia nel 1646 per lo Hertz. Aprosio compì poi a Venezia un incontro importante per il suo futuro, quello col nobile genove Giuliano Spinola che, intendendo assumerlo come istitutore del figlio, lo esortò a tornare con lui a Genova. Aprosio rimase per un pò titubante perché doveva seguire la stampa, presso i veneziani Leni e Vecellio, della parte II del suo Veratro, opera che si sarebbe collocata conrilevo fra gli scritti di critica filomarinista del frate. Allorché lo Spinola, di tasca propria, fece sveltamente finire quel lavoro tipografico, Aprosio non avanzò più alcuna obiezione:, anche per curare la malaria, contratta in Dalmazia, l’agostiniano cominciava a sentire il bisogno di curarsi al bel clima ligure. Dapprima dovette accontentarsi di far spedire nel genovesato le trenta casse di libri messe insieme: quell’anno, il 1647, aveva il compito di recarsi in Lubiana, a predicarvi la Quaresima, ospite di Ottone Federico dei conti di Buchaim, Vescovo di quella Diocesi. Espletati gli impegni Angelico rientrò un’ultima volta in Venezia, da dove, salutati gli amici, s’imbarcò col postiglione per Ferrara dove si intrattenne per alcuni giorni col Cardinal Dongo: lo accompagnava un servitore, assoldato a poco in Lubiana, che lo avrebbe seguito di città in città per rivedere antichi e sparsi amici. Raggiunto lo Spinola in Piacenza, il Ventimiglia propose un suo vecchio sogno, di recarsi a Napoli e visitare il bel Sebeto cantato dal Marino: la rivolta antispagnola di Masaniello e la scomparsa dello Spinola lo fecero desistere, inducendolo a tornare presto in Liguria. Raggiunse Rapallo, ove erano giunte le casse dei libri, e li portò a Genova, intendendo donarli al locale Convento della Consolazione: fra ripensamenti e peripezie alla fine però sistemò la biblioteca a Ventimiglia, dove fatti salvi alcuni viaggi per le prediche e l’espletamento in Genova di incarichi religiosi poco dopo la metà del secolo, trascorse il resto della vita intrattenendo vastissima corrispondenza epistolare (le lettere dei suoi corrispondenti si trovano nel Fondo Aprosiano della Biblioteca Universitaria di Genova): a Bologna, nel 1673 presso i Manolessi col titolo poco originale di La Biblioteca Aprosiana...passatempo...di Cornelio Aspasio Antivigilmi, pseudonimo anagrammato di Aprosio) in parte pubblicò il catalogo ragionato, con un’infinità di notizie erudite della sua raccolta libresca. Agitatore culturale, fautore di adunanze alla biblioteca passò gli ultimi anni quasi esclusivamente dedito alla cura della Biblioteca ed alla stesura dell’epistolario: la fama non diminuì ma indubbiamente la lontananza di Ventimiglia, per lui, rappresentò un limite alla voglia continua di viaggiare e conoscere. Negli ultimi anni gli diede molta consolazione la presenza di Domenico Antonio Gandolfo, che egli preparò qual suo successore alla direzione dell’Aprosiana: cosa che, di fatto anche se non formalmente, avvenne ancor prima del febbraio 1681 quando Aprosio, stanco e tormentato da malaria, chiuse la sua esistenza terrena ormai travagliata da periodici seri malanni.

Liberamente tratto da: <http://www.comune.ventimiglia.it/aprosiana/>

Vedi anche: Alberto Asor Rosa, APROSIO, Angelico, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961) - (versione online)