“Il Movimento” (dal 26 aprile 1855 al 4 dicembre 1886; dal 12/13 marzo 1892 all’11/12 giugno 1892)

Approfondimento storico

“Il Movimento” fu quotidiano con vite diverse e diverse identità, sulle quali avrebbe dominato un personaggio e una causa: Anton Giulio Barrili, che ne assunse per tre volte la direzione, e un’anima che ne fece “il più qualificato foglio garibaldino, con tutte le contraddizioni che l’aggettivo comporta (Montale 1999)” e “il foglio più ortodosso delle vedute politiche del Generale” (Costa 1989).
Fu fondato nell’aprile 1855, in una stampa genovese già strutturata (18 periodici a Genova, tra la fine del ’57 e l’inizio del ’58, e un primato che  spettò all’intero Regno di Sardegna), e, seppur articolata in posizioni diverse, rappresentate dal “Corriere Mercantile” come da “Il Cattolico”, guidata dal predominio di fogli di ispirazione democratica avanzata e mazziniana, “La Maga”- “La Vespa” e soprattutto “Italia e Popolo” e poi da “L’Italia del popolo” (i più diffusi a Genova secondo i dati del 1853 trasmessi dalla Direzione delle poste all’intendente).
“Il Movimento” ebbe origini letterarie, poiché derivò le sue pubblicazioni da “L’Areopago” e gli “Avvenimenti riuniti”, “giornale poligrafo”, organo ufficiale della Società Letteraria dell’Areopago. E per la scelta del nome della testata, l’editore Moretti intese correggere il termine “rivoluzione” in quello di “progresso”, di “movimento” pur corrispondendo ai tempi di mobilitazione letteraria, scientifica e civile, più che politica (E pur si move, Il movimento, 26 aprile 1855).
Dopo la breve parentesi del direttore-giornalista-“poeta” Eugenio Bianchi (che avrebbe dato vita ad altre cinque testate tra il 1856 e il 1874) furono uomini politici come Mauro Macchi e Augusto Zagnoni ad imprimere con difficoltà un carattere al foglio. Forse anche per queste ragioni, come hanno notato Della Peruta e Montale, il quotidiano appare inizialmente sbiadito  e tutto teso, per Programma, sino al 1859, a fungere essenzialmente da organo di informazioni, “particolarmente attento alla vita economico-amministrativa di Genova e intenzionato a dare spazio solo con “parsimonia” ai “giudizii politici” (26 aprile 1855)” e quindi utile fonte per studiare la realtà genovese negli anni ‘60-‘70 dell’Ottocento. In realtà, a poco a poco, nonostante le divergenze tra Zagnoni e Macchi, “Il Movimento” si espose. Antiministeriale, contrario alla politica estera cavouriana perché “non nazionale”, mosse non poco le acque anche nell’ambito della sinistra parlamentare “perché non gli pareva di scorgere differenze sostanziali tra i principi degli uomini del “Diritto” e quelli del ministero (8 ottobre e 26 novembre 1857) - come rileva Della Peruta - . Ma Macchi, che “professava un razionalismo anticattolico e un democratismo sociale avverso a Mazzini”, discepolo di Cattaneo e militante vicino al Ferrari e al Franchi, firmò gli attacchi alla dottrina mazziniana, pur riprendendo gli scritti dell’Esule (3 novembre 1856; 1° giugno e 28, 29 e 30 luglio 1857; 10 e 11 gennaio 1858) e difendendo gli organi repubblicani dalla repressione governativa e dai giornali dell’ordine (10 luglio 1857). La querelle più celebre, nella quale Macchi e “Il Movimento” ebbero come interlocutore privilegiato “L’Italia e Popolo”, si espresse contro la prospettiva insurrezionale e per “un programma sociale” che non dovesse assoggettarsi “per intero alla questione politica”, prima di Sapri (quasi ininterrottamente dal 22 al 30 novembre e dal 2 al 23 dicembre 1856) e dopo l’impresa stessa. E all’acme del fallimento della democrazia risorgimentale, Macchi osteggiò l’idea di “partito nazionale”, concepita da Manin, come l’istanza mazziniana della “bandiera neutra” anche fuori delle pagine del quotidiano. Il quadro già delineato, tra concordia e conciliazione, sarebbe riuscito a vanificare le lotte dei partiti e a tradursi in un progetto di ampio respiro da realizzarsi anche intorno al Piemonte, assunto che permise alla testata  di sostenere il gabinetto quando, all’inizio del 1859, si profilò l’eventualità della guerra (10 gennaio 1859) e alla coppia Zagnoni – Macchi (peraltro avvicinatosi ad una lotta per l’indipendenza guidata dalla monarchia sabauda) si avvicendò Giuseppe Camusso.
Ma fu l’ingresso di Anton Giulio Barrili nel 1860, un lavoro speso “con assidua ostinatezza” (3 giugno 1866) e le sue tre direzioni a significare “Il Movimento”. Giornalista per antonomasia del tempo risorgimentale (laureato in lettere, avviato all’apostolato politico della carta stampata dal futuro direttore del “Movimento”, Enrico Brusco, in quel genovese “San Giorgio”, organo “brulotto”, fondato da Nino Bixio e di fugace ma rilevante esistenza, patriota che si arruolò nel 1859 nel VII reggimento di fanteria dell’esercito sardo e andò combattere a Peschiera, autore tra il 1865 e il 1904 di oltre cinquanta romanzi, molti apparsi in “appendice”), Barrili rappresentò un’intera generazione che si professionalizzò nel cosiddetto decennio di preparazione.
E “Il Movimento”, sebbene con diversi accenti ideologici e differente impostazione editoriale (soprattutto nel biennio ‘60-’61, con una fisionomia  “mossa”, “agile”, “brillante”, imbevuta e sopraffatta dall’enfasi patriottica - e meno accidentata dalle persecuzioni governative -, quella del giornale garibaldino) si avvicinò agli standard giornalistici moderni dell’“Italia e Popolo” e de “L’Italia del Popolo” e poi “Unità Italiana”.
Fu Barrili a traghettare il giornale verso il Generale e a condurlo ad un’adesione al programma del partito d’azione mediante un garibaldinismo “ben radicato ideale”, e con lui i suoi colleghi, i futuri direttori Enrico Brusco e Vincenzo Carbonelli, che sarebbe stato era stato uno dei Mille nella compagnia comandata da Francesco Bartolomeo Savi. Secondo i ricordi del giornalista-amico Morando (da guardare con cautela critica), Garibaldi corrispose e  contribuì a suggellare questa identità: con la lettera di Agostino Bertani, indirizzata ad Augusto Zagnoni, già direttore del “Movimento” (6 maggio 1860), e con quella allegata del Generale al Mio caro Bertani (5 maggio 1860), entrambe pubblicate sul numero dell’8 maggio 1860, Giuseppe Garibaldi  investì  il foglio “di un vero vicariato secolare pel suo minuscolo esercito avviato a gigantesca impresa”.
In tal direzione “Il Movimento” strappò naturalmente all’“Unità Italiana”, diretta da Maurizio Quadrio e poi dalla coppia Quadrio-Brusco Omnis, il titolo di tribuna dell’impresa dei Mille, di Genova e dell’Italia Unita sotto Vittorio Emanuele (7 maggio 1860) e soprattutto dell’Eroe, del quale si riportarono lettere, appelli, discorsi, proclami, corrispondenze particolari, cronache dei conflitti d’armi e di visione politica, fino al laconico dispaccio, tradotto dal torinese’“L’Espero”, sull’incontro di Teano e alla notizia della partenza per Caprera (8, 10, 13, 14, 19, 21, 23, 26, 28, 29 maggio; 1°, 2, 3, 6, 9, 16 giugno; 6, 13, 16, 21, 26, 27, 28, 30 luglio; 21, 27 agosto; 10, 14, 22, 24 settembre 1860; 11, 17, 29 ottobre, 12 novembre 1860) sia nel numeri del “Movimento” sia nei suoi Supplementi, quasi seconde edizioni del quotidiano, nonché, tra il 30 dicembre del 1860 e il 1° gennaio del 1861, anche la breve biografia di Anita vergata dallo stesso Garibaldi -  come ricorda De Nicola -. 
Da questo punto di vista che coglie Barrili, come gran parte dei giornalisti italiani, uomo di lettere, narratore, scrittore, conferenziere, occorre sottolineare che “Il Movimento” diede grande spazio all’Appendice del giornale, dove furono pubblicati non solo I misteri di Genova, romanzo risorgimentale nel quale l’allievo di Francesco Domenico Guerrazzi inserì i moduli del feuilleton d’Oltralpe, ma si fece largo, seppur in nuce, a quell’istituzione tutta italiana della “terza pagina” che Barrili avrebbe trasportato e ampliato sul “Caffaro” (e sul suo Supplemento) e che avrebbe avuto la sua consacrazione ufficiale nel 1901 sul “Giornale d’Italia” di Alberto Bergamini. Barrili innervò così bene le radici del giornalismo letterario a Genova  da indurre, nel 1892, Pietro Mosetig, direttore de “Il Secolo XIX”, ad approfittare del successo di quella iniziativa per muovere concorrenza allo stesso “Caffaro”, risuscitando “Il Movimento” e facendone l’edizione pomeridiana del quotidiano.
Per la coerenza professionale, già dimostrata, Barrili lasciò il giornale nel 1866 (Buffa, Accame, Savi costruiscono altri esempi, casi diversi anche cronologicamente, ma altrettanto esemplificativi). Passando il testimone all’avv. Brusco, si accomiatò dai lettori il 3 giugno 1866 (“ora, per me, il mio lavoro di giornalista è finito”) e si unì ai 38.000 volontari dell’Eroe impegnati nel Trentino nella terza guerra d’indipendenza; e, nel 1867, come capitano dei carabinieri genovesi, partecipò alla campagna garibaldina dell’Agro Romano per il tentativo di liberazione-insurrezione di Roma, che si infranse a Villa Glori. 
In realtà, tornato a Genova, dopo la breve parentesi de “Il telegrafo del mattino” (19 dicembre 1867- 31 marzo 1868), scaturita dai dissidi con il tipografo Moretti e conclusasi con la fusione al “Movimento” il 1° aprile 1868, Barrili tornò alla plancia di comando. Sul “Telegrafo” pubblicò le memorie dell’impresa gloriosa ne Alla volta di Roma. Note di un volontario, che, nel 1895 per il venticinquesimo anniversario di Roma capitale, sarebbe uscito per i tipi di Treves con il titolo di Con Garibaldi alle porte di Roma e che resta “tra le migliori pagine risorgimentali di Barrili”, salvate in primis da Benedetto Croce.
“Il Movimento” morì tra le mani degli Accini, negozianti di carbone, che ne erano divenuti proprietari, gerenti e direttori. E per Barrili si era aperta, dal novembre del 1875, la stagione del “Caffaro”, l’organo della sinistra costituzionale genovese, e di una fase del giornalismo più compiuta e meno fragile per strutture, modelli e progettualità.


(Costa 1989; Montale 1977, 1999; Della Peruta 2011; Macchi 1856, 1857; Conti 2006; Morando 1926, 1935; Marini 2008; Villa 1989; De Nicola 2007; Croce 1973; Aveto 2011; Freschi 2005)

Cfr. "Italia e Popolo"; " L’Italia del Popolo"; " L'Unità italiana"; "Corriere Mercantile"; "Il Cattolico".