Approfondimento storico
Non si sa che cosa mosse Luciano Scarabelli, studioso e “uomo di lettere” -per sua stessa ammissione - già collaboratore de “La Lega Italiana” e de
"Il Pensiero Italiano", ad assumere la responsabilità della fondazione de “Il Censore”. Osserva Della Peruta che il quotidiano nacque per contrastare il movimento democratico genovese e Scarabelli, con questa iniziativa editorial-giornalistica, si avviò verso “un’alterna carriera di fondatore e compilatore di fogli la cui esistenza fu in qualche caso resa possibile da sovvenzioni ministeriali”. In tal direzione, la testata è assimilabile, più che alla “Gazzetta popolare di Genova” (5 giugno - 5 dicembre 1850, di cui Scarabelli fu estensore), a "La Stampa" che sarebbe sorta nel 1853, grazie ai fondi governativi elargiti da Domenico Buffa, intendente generale di Genova, e, dietro sua iniziativa, allo scopo di sostenere il “grande ministero” contro le fila mazziniane, democratiche e popolari, nonché reazionarie, e di creare consenso alla politica di Cavour.
Nel numero di programma del 25 gennaio (ma anche nel primo datato 29 gennaio), Scarabelli espresse quel concetto di missione della stampa, educatrice e istruttrice del popolo, che stava a cuore a tutta la sua generazione senza distinzione politica: i giornali erano ed apparivano “il mezzo più opportuno all’educazione nella vita politica […] così i Giornali [erano] maestri che d[avano] ogni dì la loro lezione penetrando tanto nei casolari e nelle officine”, con un “detto semplice e piano” e con “dottrine[…] facili e sincere”. Il primato di metter sul “mercato” un giornale a “mitissimo” prezzo (due centesimi), come elemento strategico per favorire la diffusione de “Il Censore”, attraverso i torchi della Tipografia Arcivescovile Carniglia e poi della Tipografia Moretti, sarebbe stato rivendicato più tardi da Scarabelli e ripreso significativamente anche da Esilio Michel nel lemma del “Dizionario del Risorgimento Nazionale”, in quell’opera di “revisione” controversa del Risorgimento che si sarebbe compiuta in epoca fascista. In realtà, Scarabelli, con una serie di editoriali non firmati, non senza retorica demagogica, iniziò l’opera di demolizione dei diritti di “radunanza di popolo”, di “conversazioni di molti”, di “dimostrazioni come misfatti allo statuto”, denunciandone la loro presunta “autorità” e “autorevolezza”, per colpire il Circolo Italiano, “sovversivo alla Monarchia Costituzionale e avverso “alla persona del Re” (3, 4 febbraio 1849) e ingaggiando una polemica che si sarebbe conclusa con la pubblicazione del decreto di scioglimento eseguito da Domenico Buffa e commentato come “atto di giustizia resa al […]bisogno e al[l’]onore” di Genova (14, 15, 17, 24 febbraio 1849). Non mancarono gli attacchi all’amico “Il Pensiero Italiano”, spostatosi verso la deriva democratica (5 e 7 marzo 1849). La sconfitta di Novara e l’abdicazione di Carlo Alberto, come il precedente proclama di Domenico Buffa, commentati con le “stampe torinesi” (14 febbraio e 28 marzo 1849), segnarono lo spartiacque.
Dopo la sospensione delle pubblicazioni, dovuta all’assenza dei lavoratori nei giorni della rivolta – “Il servizio della Patria avanti a qualunque desiderio” –, “Il Censore” uscì il 3 aprile in forma di “Bullettino straordinario”, con un articolo di fondo contro la “guerra tradita” e l’armistizio di Novara” - “indegno”-, e invitò i genovesi “frementi” a “mettere fiducia” nel governo provvisorio di Avezzana, David Morchio e Reta e alle posizioni insurrezionali del Circolo Italiano. Il cambio di segno politico durò l’espace d’un matin e, d’altra parte, l’intervento delle truppe regie determinò la fine di ogni illusione di resistenza democratica. “Il Censore”, con Luciano Scarabelli alla guida e una nuova forma editoriale garantita dai mezzi della Tipografia Moretti, riprese le sembianze di un giornale d’ordine e dell’ordine, ministeriale e non patriottico (9 luglio, 4 dicembre 1849) e ritornò alla fedeltà sabauda tanto da doversi difendere dall’insinuazione di essere finanziato dallo stesso generale Lamarmora (22 maggio 1849). Tra le prove di una ritrovata identità si esibirono gli attacchi a “La Bandiera del Popolo”, “tuttogiorno colle […] araldiche dissertazioni, colle […] filippiche, demosteniche e simili (cfr. “La Bandiera del Popolo”, 2 luglio 1849 e “Il Censore”, 11 luglio, 2 agosto 15 settembre 1849)”, a “La Strega” (7 luglio 1850; 14 settembre 1850), nonché a “Il Cattolico di Genova” (4, 6, 15 agosto, 5 novembre 1849) e al “Corriere Mercantile” (8 e 22 giugno, 2 agosto 1849).
In previsione del proclama di Moncalieri e dell’obbligato scioglimento della Camera da parte di Vittorio Emanuele II, il sostegno ai candidati del “Comitato Elettorale Ligure Genovese (Vincenzo Ricci, Giovanni Ansaldo, Giacomo Filippo Penco, Nicolò Federici, Lorenzo Pareto, tra gli altri)”, nelle cui liste si inserì con un coup de théâtre anche Luciano Scarabelli per il collegio di Recco, non senza l’appoggio di Buffa (8 dicembre 1849), e la mancata elezione del direttore (15 dicembre 1849) posero fine all’esperienza del “Censore”, senza mutarne la linea fino all’ultimo numero (11 dicembre 1849).
(Della Peruta 2011; Milan 2005; Michel 1931; Tonizzi 2011; Costa, 2001; Veneruso 1975)
Cfr. "La Stampa"; "La Bandiera del Popolo"; "La Strega"; "Il Cattolico di Genova"; "Corriere Mercantile" .