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In questo caso, i due corni dell’opposizione meritano una considerazione particolare. Infatti, prescindendo dagli elogi e dalle accuse palesemente partigiane, mentre in campo scientifico o in quello catechetico il comportamento dicotomico della Societas Iesu, vista nel suo complesso, è essenzialmente dovuto alle individuali differenze esistenti tra un membro e l’altro della Compagnia e/o alle differenti condizioni contestuali, in campo sociale è facile verificare come la stessa dicotomia possa convivere all’interno di uno stesso individuo (o piccolo gruppo di individui) col risultato che, nel caso di tensioni sociali o addirittura di violente rivolte, ognuna delle parti in campo sia convinta di avere i gesuiti dalla propria parte o, quanto meno, in condizioni di benevola neutralità. Se questo ha senza dubbio procurato all’Ordine vantaggi immediati, nei tempi lunghi ha influito a generare nei suoi confronti la fama di doppiezza. Sebbene questa sia l’impressione, è doveroso ammettere che ciò non è dovuto a una preordinata strategia. Bisogna ricordare infatti che le Constitutiones sconsigliano, per esempio, la contiguità con i potenti, a meno che un beneficio operato nei loro confronti non produca, a cascata, ulteriori benefici per la massa dei sottoposti e, soprattutto, per il successo dell’opera di evangelizzazione. Il modo de proceder (il nostro modo) della Compagnia è chiaro: vengono enunciati dei principi generali ai quali si devono conformare, compiendo ogni sforzo possibile, i membri ... per quanto sia possibile, per quanto cioè circostanze particolari non consiglino di effettuare piccoli aggiustamenti e parziali deroghe. É stato inevitabile perciò che un simile modo de proceder abbia ingenerato le ambiguità più evidenti proprio laddove i contrasti fossero più accesi e incontrollati, vale a dire in “politica”, nel sociale. La letteratura è ricchissima di testimonianze riguardanti le posizioni spesso poco ben definite dei gesuiti in questo campo. Se ne possono ricordare due esempi. Il primo riguarda i sodalizi di artigiani e di compagni sorti in Europa nella secondà metà del sedicesimo e nel diciasettesimo secolo a opera dei gesuiti, per contrastare l’eresia e diffondere la dottrina cattolica, divenuti in pratica dei sostituti delle ormai proibite società di compagnonaggio e in alcuni casi forse anche focolai dei moti che si verificarono nella seconda metà del diciasettesimo secolo (per citare i più famosi : l’insurrezione di Anversa del 1659 e la rivolta di Colonia del 1680-1686). Ancor più sorprendente (al punto che i padri gesuiti stessi dichiararono il loro stupore nelle Litterae annuae del collegio) fu l’esito della rivolta di Masaniello a Napoli nel 1647: benché la rivolta fosse indirizzata contro gli Spagnoli e le ricche famiglie a loro legate, i gesuiti, considerati a loro volta legati agli Spagnoli, furono risparmiati. Significativo, poi, il fatto che quando la reazione dei nobili prese il sopravvento, questi fecero omaggio della loro vittoria al santo gesuita Francesco Saverio, divenuto così il santo patrono di Napoli. A cosa fu dovuto l’atteggiamento favorevole ai gesuiti delle due parti avverse? Louis Châtellier [dal cui saggio Les jésuites et l’ordre social (in Les jésuites à l’âge baroque. 1540-1640 sous la direction de Luce Giard et Louis de Vaucelles. Grenoble, Jérome Millon, 1996, p. 152-153) sono state ricavate queste informazioni] sostiene : “C’était... une consequence de l’activité déployée par les jésuites dans toutes les classes sociales depuis près d’un siècle. Les adversaires, nobles et milieux populaires, constituaient les deux catégories qui avaient été privilegiées par la Compagnie dans son action missionaire à travers la ville.”