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Tra le attività che non ci si aspetterebbe coinvolte nell’impegno pastorale dei padri gesuiti si possono ricordare le arti visive e decorative nelle quali anticiparono il concetto wagneriano di Gesamtkunstwerk (fusione delle arti) grazie al quale si proponevano di lasciare un’indelebile impronta nella mente di chi vi si fosse avvicinato (soprattutto se semplice e incolto), facendogli così compiere il primo passo lungo la strada che, attraverso il catechismo, l’avrebbe portato a una forma più profonda di fede e a un più frequente accesso ai sacramenti della confessione e dell’eucarestia; si può ricordare il loro impiego dell’architettura dei giardini (landscaping) tale da offrire, a chi vi fosse addentrato, una lettura allegorica, un supporto e suggerimento alla meditazione (come è espresso, per esempio, in Parthenia sacra (1633) del gesuita inglese Henry Hawkins). Detto a margine, si deve proprio ai gesuiti, attraverso le loro Lettres édifiantes et curieuses, l’emergere in Europa della passione per i “giardini cinesi”, che verranno poi denominati “all’inglese”.

Ma la ricerca di nuove e diverse  modalità di portare a termine il loro compito pastorale non si fermava qui; è noto infatti il loro impegno nella danza, nel teatro e nella musica. A quest’ultimo riguardo si possono ricordare curiosi esperimenti di “contaminazione” nei quali l’effetto di “meraviglia” era ottenuto inserendo in una composizione musicale di (dignitosa) struttura barocca tradizionale stilemi, intonazioni e strumenti tipici della musica orientale, ottenendo così un duplice risultato: destare interesse e meraviglia, appunto, nel pubblico europeo e rendere invece più “orecchiabile” a quello orientale una composizione tradizionale come poteva essere quella di una messa cantata. Esemplari, a questo riguardo, sono la Messe des jésuites de Pekin e i Divertissements di Joseph Marie Amiot (1718 – 1793) (anche da ricordare, però, le Sonate del lazzarista Teodorico Pedrini (1678 – 1746).